La sicurezza in Ospedale è un valore che non si può trascurare, una variabile strutturale o tecnologica dalla quale non solo dipende la salute ma la stessa incolumità fisica di pazienti e dipendenti. Risulta quindi di fondamentale importanza effettuare una valutazione dei rischi, intesa come l’insieme di tutte quelle operazioni, conoscitive e operative, che devono essere attuate per addivenire ad una stima del rischio d’esposizione ai fattori di pericolo per la sicurezza e la salute del personale in relazione allo svolgimento delle lavorazioni.

Tale valutazione è pertanto un’operazione complessa che richiede per ogni ambiente o posto di lavoro considerato una serie d’operazioni, successive e conseguenti tra loro, che dovranno prevedere:

  • identificazione delle sorgenti di rischio presenti nel ciclo lavorativo
  • individuazione dei conseguenti potenziali rischi d’esposizione
  • la stima dell’entità dei rischi d’esposizione

Nelle strutture sanitarie coesiste uno scenario completo di rischi convenzionali ed emergenti (fisici, chimici e biologici) difficilmente riscontrabile in altre realtà industriali.

Nell’ambito dell’Asl Cn2 i rischi per qualifica individuati sono (aggiorn. 30-09-09):

Conformemente a quanto indicato nelle Linee guida per la valutazione del rischio. D.Lgs. 626/94. Applicazione alle strutture del SSN‰ dell’I.S.P.E.S.L., si possono quindi elencare i rischi maggiormente presenti nelle strutture sanitarie.

Rischi fisici

Il rumore

Il rumore (che può essere genericamente definito come un suono inutile o fastidioso), negli ambienti di lavoro è ormai diventato uno dei problemi più importanti. È causa di danno (ipoacusia, sordità) e comporta la malattia professionale statisticamente più significativa.

Gli effetti nocivi che il rumore può causare sull’uomo dipendono da tre fattori:

  • intensità del rumore
  • frequenza del rumore
  • durata nel tempo dell’esposizione al rumore

Questi effetti possono essere distinti in:

  • effetti uditivi: vanno ad incidere negativamente a carico dell’organo dell’udito provocando ipoacusia
  • effetti extra-uditivi: insonnia, diminuzione della capacità di concentrazione, facile irritabilità, ecc…

Il D.Lgs 81/2008 (artt. 187-198) definisce e regolamenta le procedure per ridurre anche i rischi da rumore negli ambienti di lavoro. La sua corretta applicazione dovrebbe portare ad una riduzione della sordità da rumore.

I valori limite di esposizione e i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco, sono fissati a:

  1. valori limite di esposizione rispettivamente LEX = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (140 dB(C) riferito a 20 µPa)
  2. valori superiori di azione: rispettivamente LEX = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C) riferito a 20 µPa)
  3. valori inferiori di azione: rispettivamente LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C) riferito a 20 µPa)

Laddove a causa delle caratteristiche intrinseche della attività lavorativa l’esposizione giornaliera al rumore varia significativamente, da una giornata di lavoro all’altra, è possibile sostituire, ai fini dell’applicazione dei valori limite di esposizione e dei valori di azione, il livello di esposizione giornaliera al rumore con il livello di esposizione settimanale a condizione che:

  1. il livello di esposizione settimanale al rumore, come dimostrato da un controllo idoneo, non ecceda il valore limite di esposizione di 87 dB(A)
  2. siano adottate le adeguate misure per ridurre al minimo i rischi associati a tali attività

Si può riscontrare esposizione per coloro che operano in ambienti tipo la centrale termica, i gruppi elettrogeni, le officine di manutenzione, le lavanderie, le stirerie, ecc. Nel caso dell’Asl Cn2 i livelli di esposizione professionale quotidiana rilevati sono inferiori a 85 dB(A), valore considerato “livello d’attenzione”.

Vibrazioni

Un’oscillazione rapida e di piccola ampiezza produce una vibrazione. Le vibrazioni sono regolamentate  dal D.Lgs. 81/2008 (artt. 199-205) e sono differenziate in funzione della frequenza, della lunghezza d’onda, dell’ampiezza, della velocità e dell’accelerazione.
In relazione alle lavorazioni, è possibile distinguere due criteri di rischio:

  • vibrazioni con bassa frequenza (si riscontrano ad esempio nei conducenti di veicoli
  • vibrazioni con alta frequenza (si riscontrano nelle lavorazioni che utilizzano attrezzi manuali a percussione)

Gli effetti nocivi interessano nella maggior parte dei casi le ossa e le articolazioni della mano, del polso, del gomito e sono anche facilmente riscontrabili affaticamento psicofisico e problemi di circolazione.
La prevenzione deve essere fondata su provvedimenti di tipo tecnico (tendere a diminuire la formazione di vibrazione da parte di macchine e attrezzi e successivamente limitare la propagazione diretta e indiretta sull’individuo utilizzando adeguati dispositivi di protezione individuale), di tipo organizzativo (è opportuno introdurre turni di lavoro, avvicendamenti, ecc.) e di tipo medico con visite preventive (in quanto è indispensabile una selezione professionale) e visite periodiche (per verificare l’idoneità lavorativa specifica).

Microclima

Con il termine comfort ambientale (microclima) si intendono quei parametri ambientali che influenzano gli scambi termici tra soggetto e ambiente negli spazi confinati e che determinano il cosiddetto “benessere termico”. Indispensabile è inoltre la purezza dell’aria.

In particolare il comfort microclimatico è quindi definito dai seguenti parametri:

  • temperatura dell’aria
  • umidità relativa
  • purezza dell’aria
  • livello di inquinamento dell’aria
  • velocità dell’aria

Esempi di condizioni microclimatiche così come stabilito dal D.P.R. 14.01.1997 e dalla D.C.R. Piemonte 616/2000 sono:

  • area di degenza: temperatura invernale non inferiore a 20°C e non inferiore a 22°C per la medicheria/degenze pediatriche, temperatura estiva max 28°C, U.R. 40¸60%, ricambi aria/ora 2 v/h, ecc…
  • area di diagnosi e cura: tipo blocco operatorio, temperatura 20-24°C, U.R. 40¸60%, filtrazione 99,97%, ricambi aria/ora 15 v/h, nei locali annessi temperatura 20-28°C, U.R. 40¸60%, filtrazione 99,97%, ricambi aria/ora 6¸10 v/h, ecc…
  • area servizi generali: tipo uffici, temperatura 18-20°C, U.R. 50% con tolleranza ± 5%, ventilazione 0,1-0,2 m/sec.; centrali tecnologiche temperatura minore di 26°C, U.R. 50%, ecc…

Appare evidente come il comfort sia legato ad una serie di caratteristiche strutturali dell’edificio, all’esposizione, alla rumorosità del contesto ambientale, all’inerzia termica dell’edificio, alla qualità delle finiture, al livello di manutenzione, all’indice di affollamento, ecc. Nei casi in cui non sia possibile attuare tutte o in parte le condizioni sopra riportate, è possibile ricorrere alla ventilazione: l’ideale sarebbe il condizionamento generale dell’ambiente di lavoro, cosa non sempre praticabile quando si è in presenza di notevoli fonti di calore. In casi eccezionali si può presentare ricorso ad una ventilazione localizzata. Nel caso di situazioni termiche elevate, misure di carattere preventive vanno individuate anche nell’organizzazione del lavoro (pause, periodi di riposo, ecc.).

Illuminazione

Il grado d’illuminazione influisce sulla fatica visiva, sull’attività in generale, sulla sicurezza e sul benessere delle persone: è indispensabile pertanto che soddisfi le specifiche esigenze degli operatori.
Gli obbiettivi da perseguire sono:

  • una piacevole varietà di luminanze e di colori per contribuire al benessere degli occupanti e alla riduzione dello stress da lavoro
  • un’adeguata luminosità dello spazio in modo che si possano percepire con chiarezza gli oggetti
  • condizioni di sicurezza e di facilità di movimento

È sempre preferibile sfruttare l’illuminazione naturale e solo quando ciò non è possibile ricorrere, come completamento o in totale sostituzione, all’illuminazione artificiale.
Esempi di illuminamento artificiale degli ambienti di lavoro in ambito ospedaliero (da Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro ISPESL 1/06/2006):

    • ambulatorio = 300 lx
    • c.e.d. = 500 lux
    • cucine = 500 lx
    • degenze in genere = 300 lx
    • depositi, magazzini, archivi = 100 ¸ 200 lx
    • dialisi = 500 lx
    • disimpegni = 200 lx
    • farmacia = 500 ¸ 1.000 lx
    • locale travaglio = 300 lx
    • locali riunioni (<100 posti) = 500 lx
    • reparti diagnostica = 300 ¸ 1.000 lx
    • rianimazione e terapia intensiva = 1.000 lx
    • sala parto = 1.000 lx
    • sale operatorie = 1.000 lx
    • servizi igienico-sanitari = 80 ¸200 lx
    • soggiorni = 100 ¸ 200 lx
    • sterilizzazione, disinfezione = 300 lx
    • terapie fisiche = 100 ¸ 300 lx
    • uffici, box-ufficio singoli e open space = 300 ¸ 750 lx.

    Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti

    Un rischio fisico importante nel settore sanitario è quello d’esposizione a radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, utilizzate per una prolungata e non protetta attività a scopo diagnostico, terapeutico o di disinfezione.

    Le radiazioni ionizzanti sono delle particelle e delle onde elettromagnetiche dotate di potere altamente penetrante nella materia e ciò permette alle radiazioni di far saltare da un atomo all’altro gli elettroni che incontrano nel loro percorso. In tal modo gli atomi, urtati dalle radiazioni, perdono la loro neutralità (che consiste nell’avere un uguale numero di protoni e di elettroni) e si caricano elettricamente, ionizzandosi. L’esposizione può determinare gravi danni fino alla morte cellulare, ecc…
    I tipi di radiazioni ionizzanti sono:

    • raggi a, particelle costituite da nuclei di elio (2 neutroni e 2 protoni) e dannosi solo se emessi entro il corpo umano. In tal caso possono creare gravi danni per la grande forza di ionizzazione posseduta
    • raggi b, flussi di particelle costituite da elettroni (beta-, negativi) e da positroni (beta+, elettroni positivi) emessi da un nucleo che si disintegra e se emessi entro il corpo umano sono sempre dannosi. Se emessi da una sorgente esterna sono dannosi solo per gli organi, in pratica, a meno di 1 cm dalla cute
    • raggi g, onde elettromagnetiche, come la luce, e non di natura corpuscolare come i raggi alfa e beta e sempre pericolosi, anche se emessi da sorgenti esterne al corpo umano
    • raggi x, radiazioni elettromagnetiche simili ai raggi gamma, ma di frequenza minore (quindi di lunghezza d’onda maggiore: 10-11 – 10-9 metri) e pericolosità elevata, ma inferiore a quella dei raggi gamma, inoltre la sorgente è sempre esterna al corpo umano e cessa le sue emissioni una volta spenta
    • raggi cosmici, nuclei atomici, elettroni, positroni e raggi gamma (raggi cosmici primari) o sciami fotoni-elettroni (raggi cosmici secondari) e la loro scarsa presenza li rende del tutto innocui
    • radon,  gas sprigionato da minerali radioattivi presenti sulla crosta terrestre ed in alcuni materiali da costruzione. Infiltrandosi negli ambienti interrati diventa la fonte di emissione di particelle alfa e di raggi gamma. Questi elementi liberi nell’aria entrano nell’organismo tramite la respirazione, danneggiando i tessuti interni (nell’A.S.L. CN2 negli anni 2002-2003 ne è stato eseguito il monitoraggio i dati emersi sono risultati largamente inferiori ai livelli di azione indicati dalla normativa vigente).

    L’esposizione può essere ridotta basandosi su tre fattori fondamentali in radioprotezione:

    • distanza: maggiore è la distanza dalla sorgente di radiazione, minore è l’esposizione
    • tempo: meno tempo si trascorre vicino alla fonte di radiazione, minore è l’esposizione
    • protezioni: il tipo di protezione personale da usarsi dipende dal tipo di radiazioni emesse dalla sorgente

    Per garantire condizioni di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori l’Azienda provvede alla:

    • sorveglianza fisica affidata agli esperti qualificati che sulla base della valutazione del rischio predispongono la delimitazione delle zone lavorative a rischio, il controllo e l’esame dei mezzi di protezione, la valutazione delle esposizioni, ecc
    • sorveglianza medica affidata al Medico Autorizzato (categoria A e B) per l’e esecuzione di visite mediche, indagini specialistiche e di laboratorio, provvedimenti e disposizioni sanitarie, ecc. e al Medico Competente (categoria B). Sono classificati in categoria A i lavoratori esposti che, sono suscettibili di un’esposizione superiore, in un anno solare, ad uno dei seguenti valori:
      • 6 mSv per esposizione globale o di equivalente di dose efficace
      • 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose fissati per il cristallino, la pelle, le mani e gli avambracci, piedi e caviglie

    Sono invece classificati in categoria B i lavoratori esposti non classificati in categoria A.
    Le radiazioni non ionizzanti, sono quelle radiazioni elettromagnetiche il cui meccanismo di interazione con la materia non consiste nella ionizzazione.
    Le radiazioni non ionizzanti sono generalmente prodotte da elettrodomestici, telefoni cellulari, tralicci, elettrodotti e in ambito ospedaliero sono prodotte da apparecchiature di terapia fisico-riabilitativa generanti radiofrequenze (marconi terapia), laser e microonde (radar terapia) e da apparecchiature a raggi ultravioletti (lampade germicide, apparecchi per fototerapia – malattie della pelle, ittero neo-natale e per indurimento di gessi in ortopedia e resine in odontoiatria). Nell’A.S.L. CN2 nell’anno 2000 è stato eseguito il monitoraggio da parte dell’A.R.P.A. Piemonte e i valori di campo elettrico sono risultati inferiori ai limiti stabiliti dalle vigenti normative.
    Il personale addetto è opportuno che limiti la sosta e i tempi di permanenza nelle aree dove sono in funzione tali apparecchiature, oltre ad usare i D.P.I.
    Si deve precisare inoltre che non tutto l’elettromagnetismo è uguale. Va distinto quello a basse frequenze da quello ad alte frequenze. In entrambi i casi si produce una corrente elettrica nei tessuti ma l’incidenza come causa di tumori è diversa. Trattandosi di radiazioni non ionizzanti, l’energia non è comunque tale da provocare mutazioni genetiche nel Dna.
    Le basse frequenze sono emesse normalmente da tralicci, elettrodotti, cabine di trasformazione. Tra i sintomi dovuti all’ elettrosmog a intensità superiori ai 100 microtesla, l’elettromagnetismo induce malessere, mal di testa e brividi. Nelle abitazioni l’intensità dell’elettromagnetismo non supera i 0,2 microtesla anche se nulla può ancora essere detto sugli effetti sulla salute dopo lunghi periodi di esposizione.
    Le alte frequenze sono invece emesse normalmente dai telefoni cellulari, da antenne e ripetitori. E’ stata analizzata la possibilità che l’uso dei telefoni cellulari, e delle radiazioni che derivano dal suo funzionamento, siano causa dell’insorgere di tumori del cervello (nella zona del cranio dove si poggia il telefonino). Dubbi e paure sono però state smentite da ricerche e studi compiuti nel 2000 e nel 2001 (National Cancer Institute ed altri studi). Il numero di studi però è ancora insufficiente per avvalorare una tesi piuttosto che un altra. Per quanto riguarda le radiazioni prodotte dalle antenne e dai ripetitori, le prime ricerche tendono a minimizzare il loro impatto sulla salute in quanto le radiazioni calano rapidamente con l’allontanarsi dalla fonte che le genera.

    Laser

    Il laser, come sopra specificato, è incluso fra le sorgenti di radiazione non ionizzante e per il suo impiego massiccio e diffuso ormai a tutti i livelli della sperimentazione scientifica, merita senz’altro una considerazione particolare.
    Laser è il noto acronimo per Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, il processo fisico che sta dietro alla radiazione elettromagnetica intensa, coerente e direzionale che può essere ultravioletta (200 – 400 nm ), visibile (400 – 700 nm), o infrarossa (700 nm – 300 mm).
    I rischi connessi all’uso del laser sono sia quelli relativi alle caratteristiche intrinseche del fascio, sia quelli derivanti dalle apparecchiature che permettono di creare e mantenere questo tipo di radiazione.
    L’interazione diretta con il fascio interessa in modo particolare occhi e pelle; ad esempio, la radiazione proveniente da un laser si focalizza sulla retina in un’immagine estremamente ridotta, tanto che l’esposizione incidente viene aumentata di quasi 5 ordini di grandezza, a causa dell’effetto di focalizzazione della retina stessa.
    Anche senza questo effetto, naturalmente, alcuni tipi di laser producono una radiazione sufficientemente intensa da provocare ustioni alla pelle in caso di contatto diretto.
    Occorre poi tenere presente che un laser necessita di alimentazione elettrica, con tutti i pericoli conseguenti, connessi con le apparecchiature di potenza elevata.
    Spesso il materiale attivo è allo stato gassoso, quindi più difficilmente controllabile rispetto a barrette solide, e non sempre si tratta di materiale chimicamente inerte o innocuo.
    A volte si utilizzano sostanze coloranti (dye laser) e quindi solventi, e così via.
    Questo breve richiamo su cose certamente note può sembrare banale, ma vuole portare l’attenzione su aspetti che, proprio perché ben conosciuti e sempre sotto gli occhi, possono venire dati per scontati e, quindi, ignorati nelle procedure di normale operatività; questo è un atteggiamento estremamente pericoloso; se da un lato infatti è bene acquisire la familiarità e la manualità che permettono di svolgere tranquillamente lavori tecnici, è comunque fondamentale non dare nulla per scontato, soprattutto quando, come può avvenire in INFM, si ha a che fare con personale nuovo, inesperto, al quale occorre presentare, da subito, tutti gli aspetti pericolosi dell’ambiente e delle apparecchiature.
    Esistono quindi molti tipi di laser, che possono essere classificati a partire da:

    1. tipo di funzionamento (pulsed o continuous wave)
    2. lunghezza d’onda del fascio
    3. potenza del fascio

    Secondo l’American National Standard Institute ANSI Z136.1-1976, i laser sono classificati in 4 classi di pericolosità crescente.
    Tutti i laser in commercio devono portare indicazione della classe di appartenenza, in modo da poter essere utilizzati in sicurezza.
    Le quattro classi “standard” sono comunque le seguenti:
    CLASSE 1 – Exempt Laser
    Il fascio laser è considerato innocuo in qualsiasi condizione d’uso. Questo perché la radiazione emessa è sempre al disotto degli standard massimi consentiti (MPE, Massima Esposizione Permessa).
    CLASSE 2 – Low-Power, Visible, Continuous-Wave Laser
    I laser in questa classe possono emettere radiazione pericolosa, tuttavia la loro potenza è sufficientemente bassa da consentire, con una azione di riflesso, di evitare esposizioni inattese. Questo non esclude la possibilità di riportare danni nel caso di esposizione prolungata (‘prolungata’ qui significa maggiore di 0,25 secondi, tempo entro il quale si ha riflesso incondizionato). Sono compresi in questa classe solo i laser ad emissione continua e nel visibile, con potenza ≤ 1 mW.
    CLASSE 3A – Medium Power Laser
    I laser con emissione nel visibile e una potenza in uscita fino a 5mW per i laser in continua, o 5 volte il limite di classe 2 per i laser a impulsi ripetuti o a scanning. Possono emettere radiazioni sia nel campo del visibile che in quello del non visibile e i loro fasci non sono pericolosi se osservati direttamente in maniera non continua, mentre lo possono diventare se si utilizzano strumenti che amplificano e concentrano il fascio ottico (quali microscopi, binocoli, ecc.)
    CLASSE 3B – Medium Power Laser
    I laser di classe 3B hanno potenze medie comprese tra i limiti della classe 3A e 500 mW. I laser di classe 3B sono pericolosi per gli occhi se non protetti e possono essere pericolosi per la pelle; anche le riflessioni diffuse da questi sistemi possono essere pericolosi.
    CLASSE 4 – High Power Laser
    Sono i laser più pericolosi in quanto, oltre ad avere una potenza tale da causare seri danni ad occhi e pelle anche se il fascio è diffuso, possono costituire un potenziale rischio di incendio, causare fuoruscita di materiale tossico e spesso il voltaggio e l’amperaggio di alimentazione sono pericolosamente elevati. Molti tipi di laser sono contenuti in strutture chiuse; in questo caso, la loro pericolosità viene calcolata sulla base della radiazione effettivamente visibile all’esterno della struttura stessa. Naturalmente il sistema deve essere protetto contro gli accessi accidentali, da parte di personale non autorizzato, durante il funzionamento dell’apparecchiatura.

    Clicca qui per scaricare Il rischio laser: informazioni utili per il vostro benessereIl rischio laser: informazioni utili per il vostro benessere

    Risonanza magnetica

    La Risonanza Magnetica Nucleare è quella tecnica radiologica che, utilizzando proprietà di alcuni nuclei atomici di emettere radiazioni elettromagnetiche, fornisce immagini di sezioni trasverse dell’organismo umano secondo una rappresentazione morfologica della distribuzione dell’acqua (atomi idrogenoidi).
    Da un punto di vista tecnico può comportare rischi la fase di:

    • approvvigionamento periodico di criogeno (rabbocco effettuato da ditta specializzata). In questa delicata fase il personale non addetto resterà a debita distanza di sicurezza (gli operai della squadra di manutenzione provvederanno a transennare il percorso). Infatti, in caso di fuoriuscita, il criogeno (che si trova ad una temperatura di -273°C) potrebbe provocare ustioni e/o l’asfissia dei presenti

    È inoltre necessario adottare le seguenti precauzioni:

    • da parte degli operatori: Medici e Tecnici addetti devono controllare che nei taschini dei camici non vi siano presenti forbici, penne biro, clips, monete, ecc., che potrebbero deformare il campo magnetico alterando il segnale, essere “trascinati” all’interno del magnete (gantry) e/o colpire il capo del paziente; personale di manutenzione deve utilizzare esclusivamente attrezzi speciali amagnetici (dal colore ramato); personale ausiliario deve utilizzare attrezzi testati per garantire l’assenza di parti ferromagnetiche e non deve usare prodotti a base di cera sulla chiambrana della porta di accesso al sito, ecc…
    • verso i pazienti: si devono escludere da analisi RM persone portatrici di pace-maker, di protesi dotate di circuiti elettronici, preparati intracranici o comunque posizionati in prossimità di strutture anatomiche vitali, clips vascolari o schegge in materiali ferromagnetici. Sarà comunque il medico a valutare caso per caso, tutti gli elementi che possono concorrere alla controindicazione all’esame

    La sorveglianza fisica del personale esposto e dei locali è effettuata dal Fisico Responsabile.

    Apparecchiature emittenti campi elettromagnetici

    Infine si può riscontrare esposizione ad uso d’apparecchiature emittenti campi elettromagnetici.
    È noto, anche in seguito a recenti studi sulla compatibilità elettromagnetica in ambito umano, che l’uso d’apparecchiature elettromedicali, apparecchi per la telefonia cellulare, ecc. possono o potrebbero provocare disturbi alla salute.
    La causa è stata individuata nei campi elettromagnetici emessi da tali apparecchiature.
    Pertanto è obbligatorio che tutte le apparecchiature siano conformi alle normative specifiche e non superino determinati valori, quali ad esempio:

    • apparecchiature elettromedicali e non (D.M. 381/98)
    • telefonia cellulare

    La normativa di riferimento è sempre il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (artt. 206-212).In ogni caso si raccomandano alcune regole prudenziali da osservare per la salute delle onde elettromagnetiche emesse dai telefoni cellulari (è verosimile supporre potenziali danni alla salute umana):

    • usare i cellulari solo in caso di necessità ed urgenza avendo cura di spegnerli quando si è in ufficio o si ha a disposizione un telefono fisso
    • fare e ricevere solo telefonate brevi e sintetiche evitando assolutamente lunghe conversazioni per mezzo del cellulare
    • estrarre l’antenna prima di usare il cellulare in modo da allontanare dal capo il punto di massima ricezione
    • non usare il cellulare in macchina (a meno del Kit viva – voce). L’ambiente chiuso esalta l’effetto delle onde elettromagnetiche, inoltre l’attenzione alla guida è sensibilmente ridotta
    • azionare il tasto d’invio chiamata o ricezione (momento di massima concentrazione delle onde elettromagnetiche) avendo cura di tenere il cellulare lontano dal capo
    • non usare il cellulare in Ospedale e in ambienti chiusi e affollati. Si potrebbe essere vicino a una persona portatrice di pace-maker

    Inoltre, anche in seguito alle varie indicazioni fornite dalla Regione Piemonte, l’uso di apparecchi per la telefonia cellulare può provocare significative interferenze al funzionamento di apparecchiature elettromedicali presenti in ambito ospedaliero.
    Pertanto la distanza raccomandata, cui il telefono cellulare deve essere usato, è di 2 m dalle apparecchiature stesse. Inoltre vi è la prescrizione di tenerli disattivati in: Rianimazione, Cardiologia (UTIC), Sale Operatorie, Emodialisi, Risonanza Magnetica e Laboratorio Analisi, per cui il personale che ha la dimostrata necessità di essere prontamente reperibile, dovrà munirsi di appositi cerca-persona.
    L’uso dei telefonini può essere tuttavia consentito negli spazi delle strutture ospedaliere, diversi da quelli sopra identificati, sempre nel rispetto delle fasce di protezione (distanza minima di 2 m dalle apparecchiature elettromedicali).

    Analoghe alterazioni possono essere indotte da campi elettromagnetici generati dall’uso di “cordless”. Per questi ultimi è stata stabilita in 0,6 m la distanza minima dalle apparecchiature elettromedicali.

    Rischi chimici

    Farmaci (antitumorali, inalazioni di polveri come tali o contaminate da sostanze chimiche)

    Il personale sanitario può essere esposto a questo rischio quando, per motivi professionali n’effettua la preparazione e la somministrazione. La manipolazione di antibiotici può essere causa di possibili effetti allergici (principalmente dermopatie a carico delle mani, orticaria, rinite, asma bronchiale) così come alcune pomate o preparati topici. È buona norma per tutti gli addetti usare guanti di protezione ed evitare la dispersione ambientale (polveri, soluzioni, aerosol). Merita grande attenzione la preparazione e somministrazione dei farmaci antitumorali, dotati, in generale di potere irritante per la cute e per le mucose (anche necrosi dei tessuti) e quale effetto collaterale più grave, la possibilità di indurre mutazioni genetiche e di azione cancerogena.
    Durante la preparazione e somministrazione di tali farmaci a potenziale effetto oncogeno e/o mutageno, occorre adottare misure preventive in grado di ridurre il più possibile l’esposizione con:

    • divieto di ingresso nelle zone di preparazione al personale non autorizzato
    • utilizzo di idonei D.P.I. tipo: camice monouso, guanti monouso, mascherine, sovrascarpe monouso, occhiali, cuffia monouso
    • uso di cappe idonee a flusso laminare verticale (che servono a garantire la sterilità del prodotto e la protezione dell’operatore). Esse debbono essere accese 15‚ prima dell’inizio e spente 15‚ dopo la fine dell’attività. Il piano di lavoro deve essere sgombro da materiali ad esclusione dei farmaci e va pulito con alcool 70% con un panno di carta monouso. E‚ importante operare sempre al centro della cappa
    • allontanamento del personale femminile in gravidanza

    È necessario che le operazioni di preparazione e di somministrazione dei farmaci antiblastici siano effettuate nel rispetto delle seguenti procedure:

    • tutto il materiale utilizzato per la preparazione e somministrazione di farmaci antiblastici deve essere smaltito tra i rifiuti speciali ospedalieri
    • in presenza di farmaci in soluzione già pronta l’operatore deve assicurarsi che parte della soluzione non sia rimasta nella porzione superiore della fiala che deve essere rotta avvolta con un tampone di garza; dopo la rottura il farmaco va aspirato e introdotto lentamente nel flacone avendo cura di non creare sovrapressione all’interno dello stesso
    • in presenza di farmaci in sospensione le attività sono le medesime ma l’operatore deve prestare una maggior attenzione in quanto le operazioni di aspirazione e di introduzione risultano moltiplicate
    • al termine occorre etichettare il flacone specificando nome e cognome del paziente, tipo di farmaco e dosaggio
    • al momento della somministrazione al malato l’operatore deve prestare la massima attenzione per evitare contatti accidentali
    • gli escreti dei pazienti in terapia e la loro biancheria devono essere raccolti utilizzando i guanti e poi posti in raccoglitori differenziati a chiusura ermetica

    Per il rischio da inalazioni di polveri come tali o contaminate da sostanze chimico-medicamentose, connesse alle attività lavorative della Farmacia, del Servizio Veterinario ecc…, è necessario prendere visione del prodotto utilizzato e seguire le istruzioni fornite dal fabbricante dei preparati. In quest’ambito si raccomanda di utilizzare respiratori filtranti (non le mascherine chirurgiche in quanto non forniscono una protezione sufficiente), camice o tuta monouso e guanti monouso.

    Detergenti e disinfettanti, sterilizzanti (glutaraldeide)

    In ambiente sanitario sono utilizzati prodotti ad:

    • azione disinfettante: acidi (cloridrico, borico, solforico, ecc.), alcali (carbonato sodico, idrossido di sodio, idrossido di potassio, ecc.), alogeni inorganici e ossidanti (amuchina, ipoclorito di sodio, ipoclorito di potassio, ecc.), composti dello iodio (tintura di iodio, alcool iodato, ecc.), acqua ossigenata, aldeidi (formaldeide, glutaraldeide, ecc.), alcoli (etilico, denaturato, ecc.), alogeni organici (iodopovidone, cloramina, ecc.), clorexidina, ossido di etilene, permanganato di potassio e ammoni quaternari (benzalconio cloruro, cetrimide, ecc.)
    • azione detergente: detersivi liquidi sia per uso personale che ambientale (ad esempio pulizie degli ambienti, ecc.) che possono contenere dei disinfettanti

    Gli eventuali danni sono individuabili in patologie locali (mani, avambracci) dette anche “patologie da lavori umidi”.
    Per prevenire il rischio di esposizione a sostanze e preparati disinfettanti e detergenti occorre che siano attuate una serie di misure tecniche ed organizzative nello specifico:

    • usare razionalmente i mezzi protettivi con particolare riferimento a idonei guanti monouso e alle creme barriera, alle mascherine per lavori prolungati, ecc.
    • non utilizzare sostanze contenute in contenitori senza etichetta
    • non eseguire travasi di sostanze in bottiglie normalmente adibite ad altri usi (bottiglie di acqua, bibite, ecc.)
    • utilizzare i prodotti in ambienti ben aerati
    • ricordarsi che i prodotti possono essere infiammabili, per cui non accendere fiamme, non fumare e non utilizzare apparecchiature che possono provocare scintille.

    L’uso della glutaraldeide (disinfettante) può comportare esposizione sia per via inalatoria sia per via cutanea (accidentalmente), con possibile comparsa di effetti irritativi/allergici a carico delle mucose, degli occhi, delle prime vie respiratorie e della cute.
    Gli operatori (medici, tecnici, infermieri, ausiliari, ecc.) che utilizzano, preparano o smaltiscono soluzioni di glutaraldeide, devono essere dotati di: protezione per le mani (guanti monouso in nitrile), protezione per le vie respiratorie (facciali filtranti usa e getta), protezione per gli occhi/faccia per possibili spruzzi in particolare nella manipolazione della soluzione su piano libero (occhiali a mascherina o visiera e schermi trasparenti) e protezione per il corpo (camici lunghi o grembiuli impermeabili, ecc.).
    Al fine di ridurre il livello di rischio sono raccomandabili una serie di interventi tecnici (da effettuarsi sotto cappa aspirante) ed organizzativi, tra i quali:

    • è fatto divieto di accesso alla zona di manipolazione della glutaraldeide al personale non opportunamente istruito
    • utilizzo di quantità minime di soluzioni nei bagni di glutaraldeide
    • identificazione, mediante etichette, dei contenitori delle soluzioni
    • giusta manualità (in modo delicato) nel riempire e svuotare i bagni usando tutte le precauzioni necessarie per evitare versamenti
    • uso di vasche o recipienti tappati e a tenuta, quando non usata
    • accurato risciacquo, con cicli aggiuntivi a quelli effettuati automaticamente, degli strumenti che possono venire a contatto con gli occhi degli operatori (oculari degli endoscopi, ecc.)

    In caso di incidente o versamento ambientale è importante rimuovere immediatamente la quantità sparsa con materiale assorbente (carta, segatura, cotone idrofilo, ecc.); in caso di imponente contaminazione cutanea è importante togliere subito gli abiti e lavare abbondantemente la cute con acqua fredda e poi recarsi al Pronto Soccorso; in caso di spruzzo agli occhi è fondamentale lavare immediatamente gli occhi con soluzione fisiologica per almeno 15 minuti e inviare l’infortunato al pronto soccorso.

    La pericolosità delle sostanze chimiche

    Le sostanze chimiche sono “pericolose” quando possono arrecare danni immediati o differiti nel tempo all’uomo che ne viene a contatto, oppure all’ambiente.
    Il danno che si origina può essere reversibile o irreversibile e investire un’area localizzata (ad esempio un particolare tessuto) o l’intero organismo, con eventuali conseguenze negative anche per le generazioni successive.
    In generale, una sostanza chimica è classificata al livello normativo:

    • tossica
    • irritante
    • nociva
    • esplosiva
    • comburente
    • corrosiva
    • infiammabile
    • pericolosa per l’ambiente

    mentre,  per i suoi effetti a carico del patrimonio genetico cellulare, è classificata:

    • mutagena
    • cancerogena
    • premutagena
    • co-cancerogena
    • promotore
    • teratogena

    In particolare una sostanza è classificata da un punto tossicologico mediante dati sperimentali sull’uomo ottenuti a seguito di esposizioni accidentali oppure, come più spesso accade, dall’estrapolazione dei dati ricavati da sperimentazioni su animali in laboratorio.
    Fino ad oggi, solo per poche sostanze si è ottenuta una classificazione tossicologica valutandone gli effetti tossici causati da esposizioni a basse concentrazioni e per lunga durata (tossicità sub-acuta o sub-cronica). Per la maggior parte delle sostanze chimiche conosciute, si sono effettuati infatti studi di tossicità acuta, ossia ricerche sul pericolo di arrecare danno a seguito di un’esposizione a concentrazioni elevate e per breve tempo. Questa, infatti, è la condizione più comune di esposizione in caso di incidenti industriali.
    Da un punto di vista normativo la classificazione è stata schematizzata etichettando le sostanze con figure e simboli, ossia attribuendo loro una rappresentazione grafica, che richiama piuttosto intuitivamente l’effetto nocivo dell’agente chimico, accompagnata da sigle che ne definiscono le caratteristiche di pericolo.
    Per esigenze di immediatezza e semplicità di rappresentazione, i simboli e le figure sono in numero limitato e, pertanto, non possono che fornire informazioni generali sulle sostanze, evidenziandone gli effetti globali a seguito di esposizione.
    Una descrizione più puntuale delle caratteristiche di pericolo di una sostanza viene fornita dalle cosiddette frasi di rischio, indicate con la lettera R seguita da uno o più numeri, a cui è collegata la proprietà specifica di pericolosità e la via attraverso la quale può entrare in contatto con l’organismo esplicando effetti nocivi. Tali notazioni, oggi giunte a più di 65, costituiscono il criterio di classificazione con il quale sostanze e preparati pericolosi vengono o meno ricompresi nella disciplina del controllo dei pericoli di incidente rilevante.

    Classificazione ed etichettatura

    La classificazione di una sostanza consiste nell’inserirla in una o più categorie di pericolo di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 93/32/CEE (esplosive, comburenti, infiammabili, tossiche), attribuendole la o le corrispondenti frasi di rischio. Dalla classificazione derivano per la sostanza una serie di disposizioni legislative e regolamenti relative alle sostanze pericolose.
    L’etichettatura di una sostanza pericolosa consiste nell’attribuzione ad essa di una etichetta sulla quale figurano i simboli indicanti la/le categoria/e di pericolo a cui appartiene, le frasi di rischio (rappresentate da una serie di cifre precedute dalla lettera R) e i consigli di prudenza (rappresentati da una serie di numeri precedute dalla lettera S).
    Quando ad una sostanza si assegnano più simboli, la sua etichetta potrà riportare soltanto quelli che danno l’indicazione delle caratteristiche più pericolose (art. 20 del D.Lgs. 52/97):

    • l’obbligo di apporre il simbolo T (tossico) o T+ (molto tossico) rende facoltativi i simboli Xn (nocivo) e C (corrosivo), salvo che l’allegato I del D.Lgs 52/97 contenga disposizioni in senso contrario
    • l’obbligo di apporre il simbolo C rende facoltativo il simbolo Xn
    • l’obbligo di apporre il simbolo E (esplosivo) rende facoltativi i simboli F (infiammabile) o F+ (molto infiammabile) e O (comburente)

    A titolo di esempio, si riportano figure e simboli più comuni.

    tabella 2

    Frasi a rischio

      1. esplosivo allo stato secco
      2. rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti di ignizione
      3. elevato rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti di ignizione
      4. forma composti metallici esplosivi molto sensibili
      5. pericolo di esplosione per riscaldamento
      6. esplosivo a contatto o senza contatto con l’aria
      7. può provocare incendio
      8. può provocare l’accensione di materie combustibili
      9. esplosivo in miscela con materie combustibili
      10. infiammabile
      11. facilmente infiammabile
      12. estremamente infiammabile
      13. reagisce violentemente con l’acqua
      14. a contatto con l’acqua libera gas estremamente infiammabili
      15. pericolo di esplosione se mescolato con sostanze comburenti
      16. spontaneamente infiammabile all’aria
      17. durante l’uso può formare con l’aria miscele esplosive/infiammabili
      18. può formare perossidi esplosivi
      19. nocivo per inalazione
      20. nocivo a contatto con la pelle
      21. nocivo per ingestione
      22. tossico per inalazione
      23. tossico a contatto con la pelle
      24. tossico per ingestione
      25. molto tossico per inalazione
      26. molto tossico a contatto con la pelle
      27. molto tossico per ingestione
      28. a contatto con l’acqua libera gas tossici
      29. può divenire facilmente infiammabile durante l’uso
      30. a contatto con acidi libera gas tossici
      31. a contatto con acidi libera gas molto tossici
      32. pericolo di effetti cumulativi
      33. provoca ustioni
      34. provoca gravi ustioni
      35. irritante per gli occhi
      36. irritante per le vie respiratorie
      37. irritante per la pelle
      38. pericolo di effetti irreversibili molto gravi
      39. possibilità di effetti cancerogeni – prove insufficienti
      40. rischio di gravi lesioni oculari
      41. può provocare sensibilizzazione per inalazione
      42. può provocare sensibilizzazione per contatto con la pelle
      43. rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato
      44. può provocare il cancro
      45. può provocare alterazioni genetiche ereditarie
      46. può provocare malformazioni congenite
      47. pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata
      48. può provocare il cancro per inalazione
      49. altamente tossico per gli organismi acquatici
      50. tossico per gli organismi acquatici
      51. nocivo per gli organismi acquatici
      52. può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico
      53. tossico per la flora
      54. tossico per la fauna
      55. tossico per gli organismi del terreno
      56. tossico per le api
      57. può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente
      58. pericoloso per lo strato di ozono
      59. può ridurre la fertilità
      60. può danneggiare i bambini non ancora nati
      61. possibile rischio di ridotta fertilità
      62. possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati
      63. possibile rischio per i bambini allattati al seno
      64. nocivo: può causare danni ai polmoni in caso di ingestione
      65. l’esposizione ai vapori può provocare secchezza e screpolature alla pelle
      66. l’inalazione dei vapori può provocare sonnolenza e vertigini
      67. possibilità di effetti irreversibili

      Consigli di prudenza

        1. conservare sotto chiave
        2. conservare fuori dalla portata dei bambini
        3. conservare in luogo fresco
        4. conservare lontano da locali di abitazione
        5. conservare sotto (liquido appropriato consigliato dal fabbricante)
        6. conservare sotto (gas inerte consigliato dal fabbricante)
        7. conservare il recipiente ben chiuso
        8. conservare al riparo dall’umidità
        9. conservare il recipiente in luogo ben ventilato
        10. non chiudere ermeticamente il recipiente
        11. conservare lontano da alimenti o mangimi e da bevande
        12. conservare lontano da (sostanze incompatibili da precisare)
        13. conservare lontano dal calore
        14. conservare lontano da fiamme o scintille – non fumare
        15. tenere lontano da sostanze combustibili
        16. manipolare ed aprire il recipiente con cautela
        17. non mangiare né bere durante l’impiego
        18. non fumare durante l’impiego
        19. non respirare le polveri
        20. non respirare i gas/fumi/vapori/aerosoli
        21. evitare il contatto con la pelle
        22. evitare il contatto con gli occhi
        23. in caso di contatto con gli occhi, lavare immediatamente e abbondantemente con acqua e consultare un medico
        24. togliersi di dosso immediatamente gli indumenti contaminati
        25. in caso di contatto con la pelle lavarsi immediatamente ed abbondantemente con (prodotto specificato dal produttore)
        26. non gettare i residui nelle fognature
        27. non versare acqua sul prodotto
        28. evitare l’accumulo di cariche elettrostatiche
        29. evitare l’urto e lo sfregamento
        30. non disfarsi del prodotto e del recipiente se non con le dovute precauzioni
        31. usare indumenti protettivi adatti
        32. usare guanti adatti
        33. in caso di ventilazione insufficiente, usare un apparecchio respiratorio adatto
        34. proteggersi gli occhi/la faccia
        35. per pulire il pavimento e gli oggetti contaminati da questo prodotto, usare…
        36. in caso di incendio e/o esplosione non respirare i fumi
        37. durante le fumigazioni/polimerizzazioni usare un apparecchio respiratorio adatto
        38. in caso di incendio usare… Se l’acqua aumenta il rischio precisare “non usare acqua”
        39. in caso di malessere consultare il medico
        40. in caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico
        41. in caso di ingestione consultare immediatamente un medico e mostrargli il contenitore o l’etichetta
        42. conservare a temperatura non superiore a …°C
        43. mantenere umido con …
        44. conservare soltanto nel recipiente originale
        45. non mescolare con …
        46. usare soltanto in luogo ben ventilato
        47. non utilizzare su grandi superfici in locali abitati
        48. evitare l’esposizione – procurarsi speciali istruzioni prima dell’uso
        49. procurarsi il consenso delle Autorità di controllo dell’inquinamento prima di scaricare negli impianti di trattamento delle acque di scarico
        50. utilizzare le migliori tecniche di trattamento disponibili prima di scaricare nelle fognature o nell’ambiente acquatico
        51. smaltire questo materiale e relativi contenitori in un punto di raccolta rifiuti pericolosi o speciali autorizzato
        52. usare contenitori adeguati per evitare l’inquinamento ambientale
        53. smaltire come rifiuto pericoloso
        54. richiedere informazioni al produttore/fornitore per il recupero/riciclaggio
        55. questo materiale e il suo contenitore devono essere smaltiti come rifiuti pericolosi
        56. non disperdere nell’ambiente. Riferirsi alle istruzioni speciali schede informative in materia di sicurezza
        57. in caso di ingestione non provocare il vomito: consultare immediatamente il medico e mostrargli il contenitore o l’etichetta
        58. in caso di ingestione per inalazione, allontanare l’infortunato dalla zona contaminata e mantenerlo a riposo
        59. in caso di ingestione, sciacquare la bocca con acqua (solamente se l’infortunato è cosciente)

        Gas medicinali

        Per gas s’intende ogni sostanza che si trovi nel particolare stato fisico, detto appunto gassoso o aeriforme. I gas non hanno, dal punto di vista fisico, né forma, né volume, ma tendono ad occupare tutto lo spazio a loro disposizione.
        Essi sono classificati in: comburenti (permettono e mantengono la combustione ma non possono bruciare), combustibili (possono bruciare soltanto in presenza di un comburente), inerti e asfissianti (non mantengono la vita, non sono infiammabili, non permettono e non mantengono la combustione), tossici (nocivi per l’organismo a partire da una certa concentrazione e in funzione della durata dell’esposizione) e corrosivi (reagiscono chimicamente con molti prodotti come metalli, vestiti, tessuti umani, ecc.).
        La produzione dei gas medicinali previsti dalla farmacopea ufficiale è regolata dai D.Lgs. del Ministero della Sanità n. 178/1991, n. 538/1992 e s.m.i.
        I principali gas medicinali sono:

        • Azoto Protossido (N2O)
        • Carbonio diossido (CO2)
        • Aria Medicale
        • Ossigeno (O2)
        • Ossido Nitrico (Nox)
        • Azoto (N2)

        I principali gas utilizzati nelle terapie sono:

        • Aria compressa (O2/N2)
        • Elio (He)
        • Miscele e prodotti personalizzati

        Inoltre esistono i gas puri e speciali per applicazioni mediche, tecniche e di laboratorio.
        Ossigeno (O2): è nella pratica medica, un farmaco legato alla funzione respiratoria che ha il compito di diffonderlo a livello cellulare. Non è infiammabile, ma favorisce la combustione. Può provocare l’infiammabilità spontanea delle materie organiche, in particolare oli, grassi o materie da loro impregnate. L’inalazione di ossigeno puro gassoso non è dannosa per l’organismo, salvo casi di esposizione prolungata che possono provocare fenomeni d’iperossia. L’ossigeno liquido, genera vapori freddi più pesanti di quello dell’ossigeno allo stato gassoso. Il contatto con oli, grassi, tessuti, legno, vernici e sporcizia può provocare reazioni violente ed infine può provocare gravi lesioni alla pelle. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “ossigeno” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere bianco.
        Protossido d’Azoto (N2O): in condizioni normali è un gas incolore, non irritante ed inodore. È un prodotto relativamente stabile, poco reattivo in condizioni normali e debolmente anestetico (narcotico). È un gas comburente in presenza di altri gas e vapori infiammabili. Inoltre è più pesante dell’aria e pertanto tende ad accumularsi verso il basso (fosse, tombini, cunicoli, ecc.). Il protossido d’azoto liquido può provocare gravi lesioni alla pelle ed aumenta rapidamente di volume quando si riscalda. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “protossido d’azoto” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere blu.
        Anidride Carbonica (CO2): è un prodotto fondamentale della combustione di tutte le sostanze organiche. In ambito ospedaliero è utilizzata in miscela con altri gas, per emogasanalisi o in terapia viste le sue particolari caratteristiche di vaso dilatatore. A temperature superiori di 31°C (temperatura critica) si trova sotto forma gassosa indipendentemente dalla pressione. È un gas asfissiante (se > 7%) ed è più pesante dell’aria. La sua decompressione produce freddo (ghiaccio secco). Non è combustibile né comburente. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “anidride carbonica” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere grigia.
        Per quanto riguarda il rischio di esposizione a gas anestetici (protossido d’azoto e i composti alogenati, quali alotano, enflorano, isoflorano, metossi-fluorano) occorre che al momento dell’uso siano attuate una serie di misure comportamentali e di tecnica anestesiologica:

        • controllare sempre la perfetta chiusura dei flaconi degli anestetici alogenati
        • controllare la perfetta tenuta dei tubi e raccordi e sostituire gli stessi in caso di riscontro di anomalie
        • controllare l’efficienza dei sistemi di ventilazione
        • controllare periodicamente gli apparecchi erogatori dei quali occorre garantire la perfetta tenuta
        • posizionare correttamente il tubo endotracheale o la maschera facciale e fare in modo che il loro inserimento avvenga a circuito chiuso
        • utilizzare in modo corretto l’evacuatore di gas anestetici

        Tutti i gas medicinali sopra descritti sono stoccati generalmente ad alta pressione in bombole o a pressione più bassa in contenitori criogeni.
        I rischi derivanti dalla bombole sono:

        • poca stabilità – cadute
        • alta pressione – elevata energia latente
        • esposizione a freddo artificiale – infragilimento
        • esposizione a caldo eccessivo – aumento di pressione

        Alcune tra le principali prescrizioni di sicurezza nella movimentazione delle bombole sono:

        • tutte le bombole devono essere provviste dell’apposito cappellotto di protezione delle valvole
        • devono essere maneggiate con cura evitando urti violenti
        • per il sollevamento non devono mai essere usati ferri o catene, ma gabbie, cestelli, ecc.
        • non utilizzare mai le bombole come rulli, supporti, incudini, ecc.
        • durante il maneggio utilizzare i D.P.I. (guanti, scarpe antinfortunistiche, ecc.).

        Per individuare il gas è essenziale riferirsi sempre all’etichetta apposta sulla bombola e in particolare al colore dell’ogiva, che deve essere:

          • ossigeno: bianco
          • protossido d’azoto: blu
          • biossido di carbonio: grigio
          • azoto: nero
          • aria medicinale: bianco-nero
          • elio: marrone
          • idrogeno: rosso
          • acetilene: marrone-rossiccio
          • cloro: giallo

          Macromolecole organiche allergizzanti (esposizione a lattice)

          È bene ricordare anche l’esposizione a lattice di gomma naturale, derivante principalmente dall’utilizzo di guanti.
          I sintomi ed i segni conseguenti alla sensibilizzazione al lattice possono essere:

          • localizzati (in sede di contatto)
          • generalizzati (a carico di cute e mucose, dell’apparato respiratorio)

          Si possono presentare quindi quadri clinici di: orticaria localizzata o generalizzata, rinite, asma bronchiale, edema della glottide, dermatite da contatto immediata, ecc…
          Esempi di prodotti che possono contenere lattice sono: guanti, cerotti, elastici, scarpe, gomma per cancellare, ecc…
          Attualmente non sono disponibili trattamenti per la cura dell’allergia al lattice; il provvedimento preventivo più efficace è certamente l’impiego di guanti privi di lattice o comunque modelli a basso contenuto di proteine libere e senza polvere lubrificante interna.
          Inoltre i guanti devono essere indossati su mani pulite e ben asciugate subito prima di iniziare le manovre a rischio e rimossi al termine delle stesse con un immediato lavaggio delle mani.

          Fumo

          Il fumo passivo da sigaretta in ambiente di lavoro rappresenta un rischio da prendere in esame nell’ambito del documento di valutazione dei rischi, così come indicato anche nella monografia IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione che è organismo che opera all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), volume 83, anno 2002, che classifica il fumo passivo come cancerogeno di Gruppo 1, ovvero sostanza cancerogena per l’essere umano con l’evidenza di una relazione causa-effetto tra l’esposizione alla sostanza in esame e la comparsa di tumori nell’essere umano.
          A tal proposito la normativa di riferimento è la Legge 3/2003 che stabilisce il divieto di fumare nei locali chiusi, ad eccezione di quelli provati non aperti ad utenti o al pubblico e di quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati.
          L’A.S.L. CN2 con determinazione aziendale n.91 del 26/01/2005 ha esteso il divieto di fumare alla totalità dei locali al chiuso.

          Rischi biologici

          Virus da epatite B, C, virus HIV, TBC e altre malattie infettive…

          In ambiente ospedaliero il rischio biologico è intrinsecamente correlato con l’attività dell’operatore sanitario e quindi per il diretto contatto con i malati, possibili portatori di patologie infettive, e con i loro liquidi biologici (sangue, saliva, aerosol respiratori, urine, feci, ecc.) anch’essi potenzialmente infetti.
          Le possibili vie attraverso cui si può realizzare la penetrazione dei microrganismi patogeni comprendono la:

          • via muco-cutanea
          • via aerea
          • via ematica
          • via orale

          In generale il rischio biologico può essere di tipo:

          • cumulativo (dipende dalla possibilità di venire a contatto con agenti biologici patogeni nel corso delle normali operazioni lavorative, tenendo distinti gli eventi infortunistici)
          • infortunistico (è legato ad eventi accidentali).

          Analizzando il rischio biologico di tipo infortunistico, si può affermare che molte infezioni possono essere contratte in seguito a ferite casuali con aghi e strumenti taglienti contaminati con materiale biologico infetto e/o per contatto di materiale infetto con mucose o pelle non integra, dal rapporto continuativo tra il personale sanitario e i malati, dalla presenza di materiale biologico potenzialmente infetto, dall’uso di strumenti e apparecchi di diagnosi e cura, dall’eventuale inquinamento ambientale dei settori di degenza, ecc.
          Sono quindi da considerarsi attività potenzialmente a rischio tutte quelle manovre che sono compiute quotidianamente dal personale infermieristico e ausiliario che comportano la manipolazione di strumenti, oggetti, materiali eventualmente contaminati tipo le padelle, i pappagalli, la strumentazione chirurgica.
          I reparti a maggior rischio sono: Chirurgia, Laboratori, Dialisi, Pediatria, Neonatologia, Pronto Soccorso, Sale per autopsie, Anatomia Patologica, ecc.
          Data la gravità del rischio occorre prestare la massima attenzione al pericolo di ferirsi e/o pungersi, infatti, la puntura d’ago o il taglio con strumenti chirurgici contaminati con materiale biologico proveniente da pazienti potenzialmente infetti, costituisce la principale causa di trasmissione di malattie infettive per via parenterale quali l’epatite virale B e C e l’HIV.
          La prevenzione varia in relazione alla tipologia d’infortunio e si attua soprattutto attraverso la sensibilizzazione degli operatori (considerando che il rischio maggiore dipende non dal paziente noto per la patologia infettiva, ma da quello con malattia non accertata) ed in particolare occorre fare riferimento alle norme universali (evitare cali d’attenzione che seguono il completamento della pratica iniettoria, non reincappucciare mai l’ago dopo l’uso, non disassemblare mai strumenti monouso, organizzare correttamente gli spazi e gli strumenti di lavoro, ecc.
          Se si verifica un infortunio a seguito di esposizione accidentale professionale a materiale biologico attraverso punture, tagli o contatto mucoso occorre:

          • aumentare il sanguinamento e detergere abbondantemente con acqua e sapone
          • procedere alla disinfezione della ferita con idoneo disinfettante, eccetto la cute del viso
          • in caso di contatto con il cavo orale procedere a risciacqui con idonei disinfettanti (es. amuchina al 5%)
          • in caso di contatto di contatto con le congiuntive procedere con abbondante con acqua corrente

          Lo schema di percorso del dipendente in caso di infortunio prevede:

          • Infortunio
          • Pronto Soccorso per immediata denuncia dell’infortunio
          • Ufficio I.N.A.I.L.
          • S.O.C. Direzione di Presidio per tempestiva sorveglianza sanitaria (esami di laboratorio e loro controllo, verifica stato immunitario per registrazione infortunio)

          Le norme di comportamento a seconda del tipo d’attività cui è addetto il personale ospedaliero esposto sono imposte dal decreto del Ministero Sanità del 28/09/90.
          In ogni caso è opportuno e obbligatorio fare riferimento ai protocolli sanitari presenti nella struttura ospedaliera e nello specifico prevedono:

          • Le raccomandazioni universali sono le idonee procedure da adottare con tutti i pazienti (ricoverati e/o ambulatoriali) per prevenire l’esposizione parenterale, cutanea e mucosa nei casi in cui si preveda un contatto accidentale con sangue e/o liquidi biologici.
          • Devono essere applicate di routine sia in tutte le procedure assistenziali, diagnostiche e terapeutiche che prevedano un possibile contatto accidentale con materiale biologico, sia quando si maneggiano strumenti o attrezzature che possono essere contaminate con sangue ed altri materiali biologici.
          • Liquidi biologici contaminati:
            • liquidi biologici in genere
            • tessuti in genere, compresi i frammenti ossei
            • lacrime
            • sangue
            • feci
            • urine
            • sputi
            • secrezioni nasali
            • espettorati
            • vomito

          Le precauzioni universali prevedono:

          • Lavaggio delle mani (lavaggio delle mani con acqua e detergente seguito da lavaggio antisettico ogni qual volta si verifichi accidentalmente il contatto con sangue e/o liquidi biologici e dopo la rimozione dei guanti)
          • Uso dei guanti (devono essere sempre indossati quando vi è o vi può essere contatto con sangue e/o liquidi biologici)
          • Uso dei camici e dei grembiuli di protezione (devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono produrre l’emissione di goccioline o schizzi di sangue e/o liquidi biologici)
          • Uso di mascherine, occhiali e coprifaccia protettivi (devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono provocare l’esposizione della mucosa orale, nasale e congiuntivele a goccioline o schizzi di sangue e/o liquidi biologici e emissione di frammenti di tessuto)
          • Eliminazione di aghi bisturi e taglienti (devono essere maneggiati con estrema cura per prevenire ferite accidentali, non devono essere reincappucciati, disinseriti e piegati o rotti; devono essere eliminati in contenitori resistenti, rigidi, impermeabili, con chiusura finale ermetica e smaltiti come rifiuti speciali)
          • Campioni biologici (vanno collocati e trasportati in contenitori appositi che impediscano eventuali perdite o rotture; il materiale a perdere che risulta contaminato da sangue e/o liquidi biologici deve essere riposto nei contenitori per rifiuti speciali; le eventuali manovre chirurgiche e/o endoscopiche su pazienti infetti devono essere inserite come ultime nella programmazione delle relative sedute)

          Si devono infine ricordare i rischi connessi alle attività lavorative tipo quelle svolte dal Servizio Veterinario, nell’esecuzione delle prove tubercolari, dei prelievi di sangue su animali, delle vaccinazioni e di altri interventi che possono comportare esposizione a materiale infetto (zoonosi).
          Per quanto riguarda l’esecuzione della prova tubercolina, si ritiene necessario indicare le seguenti norme:

            • adeguato contenimento degli animali per impedire movimenti improvvisi, causa principale di incidenti infortunistici
            • utilizzazione costante da parte degli operatori di guanti di protezione monouso
            • prolungamento del tempo di esecuzione della prova diagnostica per consentire la puntuale applicazione delle misure di protezione

            Rischi trasversali o organizzativi

            Infortuni (dispositivi medici, macchine, uso dei veicoli, movimentazione manuale dei pazienti e dei carichi, scivolamento e caduta, urti, atti violenti, elettricità)

            Gli infortuni sono un evento dannoso la cui causa agisce in un tempo breve e concentrato. Sono infortuni professionali se si verificano durante un turno di lavoro: “la causa dell’infortunio deve aver agito mentre il soggetto o si trova sul luogo di lavoro oppure sta compiendo un’azione correlata al lavoro stesso”.
            In ambiente ospedaliero gli infortuni sul lavoro costituiscono un fenomeno non trascurabile e possono avere cause molteplici; le più comuni sono costituite da cadute, urti, tagli o punture e da un non corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale forniti dall’Azienda, dei dispositivi medici (apparecchiature elettromedicali) e delle macchine (molatrici, saldatrici, trapani verticali, frullatori, affettatrici, carrelli elevatori, ecc.). Si osserva inoltre che gli eventi più gravi sono quelli legati all’uso dei veicoli.
            Per la prevenzione dei rischi da movimentazione dei pazienti e dei carichi occorre:

            • eseguire la mobilizzazione dei pazienti con manovre corrette ed eventualmente con l’uso di appropriati ausili meccanici
            • adottare confezioni di materiali di consumo di minor peso e volume ed utilizzare carrelli di trasporto funzionali e sicuri
            • organizzare in modo adeguato tutti quei servizi che prevedono sforzi fisici notevoli

            Per i rischi da scivolamento e caduta in piano e di urti contro mobili, apparecchiature, suppellettili occorre:

            • adottare da parte del personale di corsia scarpe ben calzanti e con suola in gomma
            • evitare gli affollamenti e l’ingombro delle sale di degenza e di assistenza

            Per il problema di atti violenti occorre specificare che molte volte questi sono involontari in quanto dipendenti dall’insufficiente autocontrollo dei pazienti riconducibile a specifiche patologie . La prevenzione si attua attraverso la tempestiva identificazione delle patologie dei pazienti che possono assumere involontari comportamenti aggressivi (pazienti psichiatrici, etilisti, ecc.) e attraverso una sempre migliore pianificazione dell’assistenza, in modo da ridurre o ancor meglio eliminare i motivi di attrito tra operatori sanitari e pubblico.

            I dispositivi medici

            I dispositivi medici, anche se gestiti in modo separato, seguono i criteri organizzativi ed i sistemi procedurali indicati per le macchine (direttiva 89/392/CEE). Il nostro ordinamento ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 46/97 e s.m.i., entrato in vigore nel giugno 1998. La normativa ha radicalmente rivoluzionato il modo di operare delle aziende costruttrici di dispositivi medici, al fine di offrire al mercato prodotti con un elevato e garantito grado di sicurezza ed affidabilità.
            Quest’elevato grado di sicurezza è garantito dalla presenza della marcatura CE di conformità apposta sul prodotto (non sono soggetti alla marcatura CE: i dispositivi destinati ad indagini cliniche e i dispositivi su misura); tale marcatura è assegnata solo a quei prodotti che dimostrano di aver pienamente soddisfatto i requisiti essenziali di sicurezza.
            Continuano invece ad essere oggetto di commercializzazione ed uso, pur privi della marcatura CE di conformità, tutti quei dispositivi che sono stati per la prima volta immessi in commercio ed in servizio in data anteriore al 14 giugno 1998.
            All’acquisto di un dispositivo medico si deve scrupolosamente verificare inoltre che insieme al prodotto siano fornite tutte le informazioni e le istruzioni d’uso necessarie (che devono essere sempre correttamente conservate) in materia di:

            • destinazione d’uso del dispositivo
            • limitazione d’impiego del dispositivo
            • condizioni di utilizzo del dispositivo.

            È chiaramente comprensibile come l’intrinseca sicurezza di un dispositivo medico sia condizione essenziale ma non sufficiente a garantire il paziente: a questa condizione deve infatti accompagnarsi un utilizzo appropriato e corretto del dispositivo.

            Uso di macchine

            La definizione di macchina data dalla cosiddetta “Direttiva Macchine” (D.P.R. 459/96) è assai vasta e in essa rientrano molte attrezzature di lavoro presenti normalmente anche nei vari reparti di un ospedale: nelle mense e nelle cucine (frullatori, coltelli elettrici, affettatrici, ecc.), in lavanderia (rotaie meccanizzate, trasporto abiti, lavatrici, ecc.), negli uffici (archivi meccanizzati, ecc.), e macchine che si trovano un po’dovunque, quali utensili per manutenzione (trapani, seghetti, ecc.), macchine per il trasporto e il sollevamento (carrelli elevatori, piattaforme di sollevamento, ecc.), cancelli automatizzati, ecc.
            Il Datore di Lavoro deve garantire che le macchine siano “a norma” e siano utilizzate in conformità al manuale d’uso, da parte di personale consapevole, informato e formato ed eventualmente munito di D.P.I. ove necessario.
            Tale Direttiva è rivolta principalmente al fabbricante e gli impone l’obbligo della marcatura CE che attesta la piena conformità i requisiti Essenziali di Sicurezza stabiliti dalla Direttiva stessa, sotto la sua piena responsabilità. Per macchine costruite prima dell’entrata in vigore della “Direttiva Macchine” è necessaria l’autocertificazione attestante la rispondenza della macchina alla legislazione previgente, la presenza del manuale d’uso e di manutenzione redatto in lingua italiana e l’effettiva rispondenza della macchina alla precedente legislazione mediante controlli e prove.
            In ogni caso lavorare in sicurezza significa conoscere i rischi che possono manifestarsi durante l’uso delle macchine: è quindi indispensabile prestare sempre molta attenzione.
            I rischi ai quali si può essere esposti possono derivare:

            • dal contatto con parti mobili della macchina
            • dalla perdita di oggetti che sono spinti fuori della macchina a causa di qualche guasto
            • dal cattivo funzionamento della macchina

            Gli addetti alle macchine operatrici devono quindi fare un corretto uso ed avere la massima cura dei D.P.I. (caschi, berretti, tappi auricolari, occhiali protettivi, visiere, guanti e scarpe antinfortunistiche) avuti in dotazione e non vi possono apportare modifiche di propria iniziativa.
            Ad esempio per quanto riguarda i processi di saldatura, i rischi sono riferibili ai seguenti fattori:

            • gas e vapori, fumi e polveri, che si sviluppano per il calore generato sugli elettrodi e/o sulle superfici da saldare
            • radiazioni ultraviolette e infrarosse emesse dall’arco

            I danni per la salute possono dipendere da:

            • inalazioni di fumi, gas e polveri da cui possono derivare irritazioni a carico delle prime vie aeree
            • esposizioni a raggi ultravioletti (cheratocongiuntiviti) o raggi infrarossi (cataratta, del resto molto rara)
            • contatto degli inquinanti con gli occhi con conseguente irritazione delle congiuntive
            • assorbimento di sostanze tossiche (ossido di carbonio, piombo, manganese, ecc.)

            Le azioni correttive necessarie al fine di ridurre i rischi sono:

              • quando si opera in vicinanza di altri posti di lavoro o di passaggio, occorre predisporre idonee protezioni per l’intercettazione delle scorie
              • nei pressi dei posti di saldatura non è consentita la presenza di materiali infiammabili o combustibili
              • è vietato effettuare operazioni di saldatura all’interno di locali non sufficientemente ventilati durante le operazioni di saldatura è obbligatorio fare un costante e corretto uso dei D.P.I. (occhiali con protezioni laterali e vetri colorati inattinici, guanti in cuoio, elmetto, calzature di sicurezza, ecc.)

              Uso di veicoli

              Automezzi
              I mezzi ospedalieri possono essere utilizzati solo per esigenze di servizio dal personale autorizzato e munito di patente di guida adeguata.
              Prima di iniziare la guida di un mezzo è necessario controllare che:

              • la pressione dei pneumatici sia quella indicata dal costruttore
              • i pneumatici non presentino tagli o screpolature profonde
              • lo spessore del battistrada sia almeno di 1 mm
              • i freni siano efficienti
              • i segnali luminosi siano efficienti e puliti
              • i segnali acustici funzionino
              • i tergicristalli funzionino a dovere e le relative spazzole non siano usurate
              • a bordo vi siano, nel periodo invernale, le catene antineve complete di tutti gli accessori e il giubbotto ad alta visibilità

              Durante la guida dell’automezzo il conduttore deve:

              • rispettare le norme sulla circolazione stradale (segnaletica, ecc.)
              • mantenere un assetto di guida corretto
              • non compiere movimenti od azioni che distolgano la sua attenzione, pregiudicando la sicurezza
              • effettuare il rifornimento di carburante a motore spento
              • utilizzare sistematicamente le cinture di sicurezza
              • segnalare al responsabile ogni anomalia riscontrata
              • porre particolare attenzione al carico dei veicoli in modo che non sia superata la portata indicata nel documento di circolazione, non sia dimenticata la visibilità del conducente, il carico sia stabile, ecc
              • trasportare in sicurezza i materiali infettivi e i campioni diagnostici
              • è compito di ogni Responsabile di Servizio far effettuare la manutenzione ordinaria ogni 5.000 km o 6 mesi

              Inoltre il conduttore non deve:

              • far uso di bevande alcoliche
              • usare i cellulari senza dispositivo vivavoce/auricolare
              • fumare a bordo degli automezzi aziendali

              Scarica il documento “Regolamento per la gestione, utilizzo e guida degli automezzi di proprietà dell’ASL CN2”
              Scarica il documento “Guida degli automezzi aziendali: informazioni utili per il vostro benessere”

              Carrelli elevatori
              Anche per la guida di carrelli elevatori l’operatore è tenuto:

              • inizio lavoro, a controllare il regolare funzionamento del freno, dei comandi, dell’avvisatore acustico e delle luci
              • fine lavoro, a parcheggiare il carrello nel luogo designato, appoggiare le forcole sul pavimento (questo anche quando il carrello è abbandonato momentaneamente), spegnere il motore, asportare la chiave e azionare il freno di stazionamento

              Si rammenta infine di prestare particolare attenzione nell’attraversamento di incroci e strettoie, durante il trasporto le forcole del carrello devono essere tenute inclinate verso l’alto, tutte le manovre di sollevamento o prelievo devono essere effettuate previo allontanamento delle persone che si trovino esposte al rischio dell’eventuale caduta del carico, è vietato trasportare e/o sollevare persone sul carrello, non utilizzare il carrello per usi diversi da quello del trasporto di carichi, ecc…

              Movimentazione manuale dei pazienti (posture e sforzi muscolari)

              I disturbi acuti e cronici del rachide sono assai diffusi tra coloro che devono assistere persone malate.
              Sono moltissimi gli studi e le ricerche che indicano come gli infermieri siano tra le categorie professionali più colpite, già nei primi anni di lavoro, da patologie alla colonna vertebrale.
              Il legame tra queste patologie e gli sforzi fisici e le conseguenti patologie è ovviamente più elevato laddove bisogna assistere soggetti immobilizzati o poco collaboranti (rianimazione, ortopedia, fisiatria, chirurgia, geriatria, ecc.). La prevenzione in questo campo non è facile; un paziente non è un qualsiasi oggetto pesante ma ha caratteristiche ed esigenze particolari di cui bisogna tenere conto per non fargli, oltre che non farsi, male.
              Le metodologie di trasferimento possono variare in relazione all’entità / tipologia della disabilità del paziente.
              È utile suddividere questi ultimi in due categorie:

              • paziente collaborante, il paziente può sfruttare una residua capacità di movimento
              • paziente non o scarsamente collaborante, il paziente non può aiutare il movimento né con gli arti superiori, né con gli arti inferiori

              Il corpo risulta in equilibrio quando la linea di gravità cade all’interno della base di appoggio. Un corpo è maggiormente stabile quando la base di appoggio è ampia e il centro di gravità è basso. La base di appoggio del corpo umano in stazione eretta è costituita dalla pianta dei piedi e dallo spazio interposto. Mantenendo i piedi uniti, la base di appoggio è più piccola e quindi l’equilibrio è instabile. Divaricando gli arti inferiori si rende la base di appoggio più ampia, migliorando l’equilibrio della posizione.

              La prevenzione è anche possibile usando specifiche attrezzature per il sollevamento dei pazienti come:

              • la traversa che permette di muovere il paziente nel letto senza avvicinarsi troppo, stando in ginocchio o in piedi
              • il trapezio (o balcanica) che permette al paziente di collaborare durante gli spostamenti nel letto
              • la tavola di trasferimento che è usata per far scivolare il paziente da una superficie all’altra
              • il sollevatore meccanico che agisce sollevando il paziente sistemato in una robusta imbracatura

              ed attraverso l’istituzione di corsi di addestramento per il personale infermieristico dove siano insegnate le corrette modalità di sollevamento del paziente.

              Scarica il documento “Esercizi Movimento e Benessere 2012”
              Scarica il documento “Materiale Teorico Movimento e Benessere 2012”

              Movimentazione manuale dei carichi

              Con tale termine s’intende l’operazione di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni di sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico che per la sua caratteristica o in conseguenza di condizioni ergonomiche sfavorevoli, può comportare tra l’altro rischi di lesioni dorso-lombari.
              Se la necessità di una movimentazione manuale dei carichi ad opera del lavoratore non può essere evitata occorre adottare alcune misure preventive in modo che essa sia quanto più possibile sicura e sana.
              La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio tra l’altro dorso-lombare nei casi in cui il carico sia troppo pesante, sia ingombrante o difficile da afferrare, sia in equilibrio instabile o sia collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco. Se la movimentazione è eseguita male potete farvi male alla schiena.
              Una corretta postura rende tutto quello che fate più semplice e sarete meno soggetti a patologie del rachide, indolenzimenti o danni, quindi:

                • verificate che le vie da percorrere siano sgombre da materiali che possano costituire ostacolo o inciampo
                • verificate che la natura del pavimento non presenti pericoli di scivolamento, buche, ecc.
                • verificate che il piano di lavoro sia alla giusta altezza in modo che le spalle e le ginocchia possano rimanere rilassate
                • muovetevi con il peso vicino al corpo, piegate le ginocchia e tenete la schiena e il collo rilassati tenete la schiena diritta
                • evitate di ruotare solo il tronco, ma girate tutto il tronco. Non compite torsioni accentuate con la colonna vertebrale
                • chiedete aiuto se il peso è troppo voluminoso o pesante (>= di 30 Kg per gli uomini e >= di 20 Kg per le donne) per una sola persona
                • utilizzate uno sgabello o gradini o scala a pioli (verificandone preventivamente la stabilità) per raggiungere tutti i carichi che sono ad un’altezza superiore alle spalle.

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                Elettricità

                Il rischio elettrico in ambiente ospedaliero riguarda sia i pazienti (rischio da macroshock per passaggio di corrente elettrica nell’organismo attraverso la pelle intatta e rischio da microshock legato all’uso di cateteri, sonde, elettrodi di stimolazione inseriti nei vasi o nel cuore) sia il personale sanitario (rischio di microshock per passaggio di corrente elettrica nell’organismo attraverso la pelle intatta).
                Ai fini della riduzione dei rischi di infortunio di tipo elettrico occorre che il personale di assistenza segua precise norme di sicurezza atte ad evitare un uso improprio di apparecchiature elettriche ed in particolare occorre:

                • non inserire forzatamente una spina nella presa sbagliata
                • non estrarre spine dalle prese agendo sul cavo anziché sulla spina stessa
                • non rovesciare liquidi su apparecchiature elettriche e non usare apparecchiature elettriche con le mani bagnate
                • non eseguire mai collegamenti elettrici volanti
                • seguire le indicazioni d’uso e le misure di sicurezza indicate nel libretto d’istruzione rilasciato dal fornitore
                • avvisare il personale tecnico competente per qualsiasi alterazione individuata nel funzionamento degli apparecchi elettrici ed evitare assolutamente di eseguire riparazioni di fortuna
                • non usare mai adattatori, spine multiple, cavi di prolunga senza terra, ecc.

                In particolare gli elettricisti dovranno:

                • realizzare gli impianti secondo i principi del Decreto 37/2008
                • utilizzare solo materiale elettrico a norma di legge e certificato IMQ
                • eseguire la ricerca dei guasti con l’impianto non in tensione
                • qualora la verifica non dia risultati positivi effettuarla rimettendo tensione, facendo uso dei D.P.I. e degli attrezzi idonei
                • ripristinare con scrupolo, dopo qualsiasi intervento, le condizioni preesistenti e la funzionalità dell’impianto ai fini della sicurezza
                • usare scale portatili preferibilmente in materiale isolante. La salita e discesa deve avvenire tenendosi con ambedue le mani ai pioli e gli attrezzi e gli utensili devono essere contenuti nelle apposite borse
                • rispettare nei locali di lavoro tutte le normative e le cartellonistiche generali e specifiche per determinati ambienti a rischio.

                In caso di folgorazione interrompere la corrente e se non possibile allontanare l’infortunato dalle parti in tensione utilizzando aste in legno, pedane isolanti o altri mezzi idonei e richiedere con la massima urgenza l’intervento sanitario.

                Videoterminali

                L’uso dei videoterminali (VDT) è ormai in costante crescita in tutte le attività d’ufficio e una così ampia diffusione ha focalizzato l’attenzione nell’individualizzazione di ogni possibile rischio connesso con le specifiche modalità operative.
                Su queste basi, alla luce di numerosissimi riscontri scientifici, si può escludere che l’uso di VDT da parte di persone in normali condizioni di salute possa indurre effetti nocivi, a breve e lungo termine. Occorre ricordare invece che lavorare al VDT può evidenziare l‘esistenza di disturbi visivi preesistenti e magari trascurati o non noti all’operatore. Inoltre tutte le ricerche fino ad ora realizzate hanno escluso la possibilità di emissioni di radiazioni ionizzanti da parte del video, in quanto la potenza di tali raggi è modestissima.
                Si definisce videoterminalista, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., il lavoratore che utilizza in modo sistematico e abituale per 20 ore settimanali dedotte le interruzioni di cui all’art. 175 (15 minuti ogni 120 minuti di lavoro).
                I più comuni “disturbi da computer” si possono dividere in:

                • disturbi visivi (mal di testa ed affaticamento agli occhi quando si guarda a lungo lo schermo)
                • disturbi osteomuscolari (rigidità muscolare, dolori ai polsi e alle braccia derivanti dallo scrivere troppo a lungo in posizioni innaturali e senza un appoggio confortevole; dolori in tutto il corpo derivanti dal rimanere seduti alla scrivania senza pause).

                Per prevenire i disturbi visivi è necessario: adattare lo schermo alle condizioni di illuminamento ambientale, regolare la luminosità dello schermo, posizionare lo schermo ad angolo retto rispetto alle finestre o a sorgenti di luce riflessa in modo che gli occhi non ricevano luce diretta, collocare lo schermo ad una distanza dagli occhi compresa fra i 50 e gli 80 cm e ricordarsi che il monitor deve essere un po’ più basso dell’altezza degli occhi, posizionare i documenti alla stessa distanza dal video.
                I disturbi osteomuscolari invece sono legati all’errata abitudine di mantenere per lungo tempo posizioni fisse e sovente non ergonomicamente corrette.
                Infine si dovrà ricordare ancora che per una corretta ed idonea postazione di lavoro occorre che:

                • la scrivania sia di dimensioni sufficientemente grandi (in particolare deve poter consentire l’appoggio degli avambracci), di colore chiaro ma non bianco, di altezza pari a circa 72 cm, ecc.
                • la sedia sia a 5 razze e provvista di un buon supporto dorso-lombare, lo schienale sia inclinato tra 90° e 110°
                • la tastiera sia mobile e leggermente inclinata.

                Il lavoratore che utilizza in modo sistematico e abituale per 20 ore settimanali dedotte le pause un’attrezzatura munita di videoterminale, è considerato esposto ed è sottoposto ad una visita medica per evidenziare eventuali malformazioni strutturali e ad un esame degli occhi e della vista effettuati dal Medico Competente (art. 176 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.).
                Qualora l’esito della visita medica ne evidenzi la necessità, il lavoratore è sottoposto ad esami specialistici.

                Scarica il documento “Il lavoro al videoterminale: informazioni dettagliate per specialisti e non”
                Scarica il documento “Lavoro al videoterminale: 10 consigli utili per tutelare la salute e il benessere dei lavoratori”
                Scarica il documento “L’uso del videoterminale: informazioni utili per il vostro benessere”
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                Aspetti psicologici e organizzativi

                In ambiente ospedaliero sono frequentemente segnalate situazioni di stress psichico tra il personale. Le cause possono essere legate sostanzialmente a fattori di tipo individuale, organizzativo, sociale o culturale.
                Il coinvolgimento emotivo richiesto talvolta dal paziente, l’impatto quotidiano con la sofferenza, il dolore o la morte, possono generare nel personale sanitario ed in particolare in quell’infermieristico sensazioni di fallimento e distacco personale.
                Le condizioni dell’ambiente di lavoro che prevedono molte volte un sovraccarico di lavoro, mancanza di pianificazione, svalutazione della professionalità, burocratizzazione eccessiva, sono spesso motivo di perdita d’interesse alla professione e alla responsabilità nel proprio lavoro.
                La prevenzione dovrebbe prevedere una riduzione dei sovraccarichi di lavoro, il coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione, la formazione costante del personale ed il suo sostegno psicologico finalizzato a sostenere angosce e ansie legate alla sofferenza, alle malattie e alla morte.

                Lavoro notturno

                Il D.Lgs. 532/99 recante disposizioni in materia di lavoro notturno definisce:

                1. lavoro notturno:
                  • l’attività svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino
                2. lavoratore notturno:
                  • qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero
                  • qualsiasi lavoratore che svolga, in via non eccezionale, durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro normale secondo le norme definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale

                L’alterazione delle condizioni di salute dei turnisti dipende oltre che dall’alterazione dei ritmi biologici (sfera biologica) anche dalle interferenze sulle abitudini alimentari e di sonno dei soggetti esposti (sfera lavorativa) e dalle eventuali interferenze sulla vita di relazione (sfera relazionale). I dati disponibili riguardano in special modo altre aree lavorative, ma possono essere facilmente estrapolati per il personale ospedaliero. Il sonno è la prima attività a subire modifiche dal lavoro a turni.
                Una riduzione delle ore di sonno si determina già nel corso del turno mattutino in relazione all’alzata precoce.
                Nel turno notturno la riduzione del sonno è più vistosa in presenza di situazioni familiari ed abitative sfavorevoli, che limitano la possibilità di recupero successivo.
                Non solo la quantità di sonno ma anche la qualità si altera con il lavoro a turno a causa della perturbazione delle fasi del sonno che riducono i periodi di sonno profondo e di sonno REM, ciò determina un minor effetto ristoratore del sonno che si accentua quando si dorme di giorno.
                Con l’età si è visto un’accentuazione delle alterazioni quantitative e qualitative del sonno. Si pensa che i lavoratori turnisti abbiano un più precoce invecchiamento funzionale rispetto a quelli non in turno anche a causa di tale fattore.
                I problemi alimentari sono legati alla anomala sequenza dei pasti ed all’interferenza sui pasti operata dal sonno: i turnisti – anche se si alimentano normalmente – per effetto del turno spostano la sincronizzazione socio-ambientale dei pasti:

                • il turno mattutino di solito interferisce con l’orario del pranzo ed induce uno spostamento del pasto di due o tre ore
                • allo stesso modo il turno pomeridiano ha un effetto sulla cena
                • durante il turno di notte, anche se gli orari dei pasti si mantengono, si modifica la qualità dei cibi consumati (prevalentemente freddi e preconfezionati) ed aumenta l’incremento di bevande stimolanti (caffè e tè) e di tabacco.

                Nei turnisti, pertanto, si registra un incremento delle malattie dell’apparato digerente (gastroduodenite, ulcera peptica, colonpatie funzionali).
                Un altro problema rilevante nel lavoro a turni è l’incidenza dei disturbi psichici (disturbi comportamentali, sindromi ansiose e depressive) e neurologici (fatica cronica, insonnia).
                I lavoratori a turni, pertanto, spesso assumono psicofarmaci e ricorrono al ricovero in luoghi di cura con maggior frequenza della restante popolazione attiva.
                Infine recenti indagini effettuate nei paesi scandinavi hanno rilevato un aumento del rischio per le malattie cardiovascolari tra i turnisti.
                Da una sommaria consultazione di tale letteratura risulta che i turnisti sono esposti a problemi cardiaci (angina, infarto) da due a tre volte più spesso dei lavoratori con turni solo di mattina. Tale rischio è indipendente dall’età e dal consumo di tabacco.
                Nei turnisti, inoltre, si riscontra un aumento del colesterolo e dei trigliceridi a prescindere dall’uso o dall’abuso di tabacco e dall’anzianità anagrafica; si è riscontrato infine un maggiore incremento del LDL ed una riduzione del HDL durante il lavoro notturno. Le alterazioni dell’assetto lipidico appaiono indipendenti dall’obesità e dalle abitudini alimentari.
                Le donne, infine, denunciano irregolarità mestruali, un minor numero di gravidanze, ed un incremento d’incidenza di minacce d’aborto e di aborti spontanei rispetto alle donne che lavorano soltanto la mattina.
                Tali situazioni sono anche confermate da un recente studio dell’Eurispes dal titolo “Il lavoro notturno: scelta o necessità”, nel quale si afferma che può interferire nell’organizzazione delle attività sociali, creando delle difficoltà a instaurare e a mantenere le relazioni, fino a rischiare di diventare un elemento di discriminazione sociale.
                Dal punto di vista legislativo, fin dall’inizio del 900 ci si è occupati della disciplina del lavoro notturno. Gli ultimi in ordine ti tempo sono però la Legge 25/1999, il D.Lgs 532 del 26 novembre 1999 (che regola il lavoro notturno negli enti pubblici) e il D.Lgs 66 dell’8/04/2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce concernenti taluni aspetti della organizzazione dell’orario di lavoro”).
                Tra le altre disposizioni, queste norme vietano il lavoro notturno alle donne in gravidanza e fino al compimento del primo anno di età del bambino e prevedono particolari disposizioni per la lavoratrice madre (o il padre) di un figlio di età inferiore a 3 anni, per i genitori affidatari di un figlio di età inferiore a 12 anni, per coloro che hanno a carico un soggetto disabile (nello specifico si veda la valutazione per la salute delle lavoratrici madri, puerpere o in allattamento fino a sette mesi dopo il parto ai sensi del D.Lgs. 151/2001).
                Da quanto sopra visto occorre valutare sotto una nuova ottica le implicazioni che il lavoro a turni determina sulla vita e sulla salute dei lavoratori. In particolare tali lavoratori, se non già soggetti a controllo periodico obbligatorio da parte di un Medico Competente, dovrebbero esser periodicamente sottoposti a visita sanitaria allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile i segni ed i sintomi di alterazione.
                Fin ora il personale sanitario è stato trascurato da indagini epidemiologiche sull’incidenza di tale rischio sulla salute.
                Un’altra esigenza da curare è questa: avviare un’indagine che approfondisca le implicazioni di tale organizzazione del lavoro sui diversi aspetti della vita relazionale e lavorativa dei turnisti e sulle ricadute che si determinano sulla loro salute. La valutazione deve avvenire attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi.

                Tutela delle lavoratrici madri

                Lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento

                Il settore sanitario e socio assistenziale ha come caratteristica quella di incorporare un gran numero di personale femminile.
                Anche nell’A.S.L. CN2 su un numero complessivo di circa 1.700 dipendenti il 70% sono donne mentre solo il 30% sono uomini.
                Gestanti, puerpere e madri in periodo di allattamento ai sensi del D.Lgs 645/96 integrato dal D.Lgs. 151/2001, hanno un’ulteriore normativa di protezione sui luoghi di lavoro.
                Le altre norme più importanti, attualmente ancora in vigore, sono la Legge n.1204/1971 “Tutela delle lavoratrici madri” e il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”.
                La valutazione dei rischi per la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a 7 mesi dopo il parto:

                • è predisposta dal S.P.P.
                • fa parte del documento di valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
                • tiene conto del parere espresso dal Medico Competente

                In ogni caso si deve precisare che la gravidanza, se priva di complicazioni, è del tutto compatibile con la normale attività lavorativa. Infatti le Linee Direttrici dell’U.E. sottolineano che la gravidanza non è una malattia ma un aspetto della vita quotidiana.
                Tuttavia se l’attività lavorativa o l’ambiente in cui si svolge presentano rischi specifici per la salute della lavoratrice o del nascituro, è fatto obbligo al datore di lavoro, oltre a valutare i rischi e ad individuare le misure di prevenzione e protezione  da adottare, evitare l’esposizione al rischio, modificando temporaneamente le condizioni e/o l’orario di lavoro o procedere allo spostamento temporaneo ad altre mansioni.
                Qualora la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni, l’Ispettorato del Lavoro può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo. In ospedale i rischi sono legati a tutte quelle professioni che quotidianamente sono esposte a prodotti chimici, radiazioni ed altri fattori fisici, organizzativi, biologici, ecc…
                Tutto il personale è sottoposto a programmi di formazione e informazione periodica ed ogni tipologia di rischio prevede la distribuzione di adeguati DPI (dispositivi di protezione individuali).
                Elenco dei  lavori faticosi, pericolosi e insalubri in ambito ospedaliero e assistenziale.
                Lavori faticosi:

                • movimentazione manuale dei carichi
                • azione di spinta e/o tiro (es. lettini, carrozzine, carrelli mensa, ecc.)
                • movimenti, posizioni di lavoro, stazione eretta per oltre 4 ore giornaliere
                • lavoro notturno

                Lavori pericolosi

                • assistenza a malati psichiatrici ed in aree di emergenza (es. pronto soccorso), a pazienti non collaboranti
                • attività comportante il maneggio di valuta

                Lavori stressanti

                • lavoro al VDT
                • lavoro al centralino

                Lavori in presenza di agenti fisici

                • lavori comportati esposizione a radiazioni ionizzanti e non
                • lavori comportanti colpi, vibrazioni e scuotimento
                • lavori comportanti esposizione a rumore eccedente gli 85 dBA
                • lavori in presenza di sollecitazioni termiche come attività di magazzinaggio in celle frigorifere, centri di sterilizzazione, cucine, ecc.

                Lavori in presenza di agenti biologici

                • lavori comportanti esposizioni ad agenti biologici dei gruppi di rischio da 2 a 4 ai sensi dell’art.268 del D.Lgs. 81/2008.

                Lavori in presenza di agenti chimici

                • lavori comportanti uso di prodotti chimici classificati con le seguenti frasi di rischio “R” e di farmaci antiblastici (R46, R47)
                  • 40 – possibilità di effetti cancerogeni – prove insufficienti
                  • 45 – può provocare il cancro
                  • 46 – può provocare alterazioni genetiche ereditarie
                  • 47 – può provocare malformazioni congenite
                  • 49 – può provocare il cancro per inalazione
                  • 61 – può danneggiare i bambini non ancora nati
                  • 63 – possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati
                  • 64 – possibile rischio per i bambini allattati al seno
                • nei lavori comportanti usi di prodotti chimici pericolosi per assorbimento cutaneo o inalatorio (glutaraldeide, gas anestetici, xilene, ecc.)
                • lavori di disinfezione/disinfestazione

                Classificazione delle manovre o procedure invasive comportanti rischio biologico (da S. Cantoni, 1993).
                Alto rischio:

                • incannulazione vie arteriose/venose e prelievi arteriosi
                • angiografie
                • interventi chirurgici
                • riscontri autoptici
                • broncoscopie, induzione dell’escreato per aerosolizzazione
                • aspirazioni endobronchiali ed endotracheali
                • intubazioni endo/naso/oro-tracheali
                • tracheotomie, cambio di cannule tracheotomiche
                • punture esplorative in cavità ed organi: lombare, toracica, sternale, artrocentesi, biopsia epatica e renale
                • punture evacuative in cavità ed organi: toracentesi, paracentesi, dialisi peritoneale, drenaggio toracico
                • cateterismo vescicole
                • cistoscopia
                • isteroscopia
                • amniocentesi
                • fetoscopia

                Medio rischio:

                • prelievo o iniezioni endovenose
                • lavaggio materiale e strumenti (ferri chirurgici)
                • svuotamento contenitori ripieni di liquidi organici (sangue, urine, escreato)
                • endoscopia digestiva
                • medicazione di ferite chirurgiche
                • iniezioni intramuscolari

                Basso rischio:

                  • clistere
                  • pulizia cavo orale
                  • tricotomia

                  Imprese esterne

                  Imprese con contratti d’appalto e contratti d’opera

                  Sono molteplici le ragioni per le quali si può presentare ricorso ad imprese esterne:

                  • per attività periferiche dell’impresa (manutenzione, pulizia, vigilanza, trasporto, ecc.)
                  • per far fronte a punte di attività
                  • in occasioni di operazioni di rinnovo o di sistemazione dei locali

                  L’intervento di queste imprese presenta delle caratteristiche particolari, in materia di rischi professionali, legati alla:

                  • non conoscenza dei locali, dell’ambiente, delle attività delle imprese, ecc…
                  • interferenza di attività, materiali, impianti
                  • mancanza di preparazione a causa dei tempi di intervento molto ravvicinati

                  S’impongono quindi delle misure di prevenzione per ridurre questi rischi specifichi, anche con una concertazione preventiva allo svolgimento dei lavori, ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
                  I datori  di lavoro delle ditte devono pertanto cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
                  È necessario:

                    • conoscere i modi operativi di ciascuna delle imprese
                    • informare l’impresa appaltatrice e i lavoratori impegnati nella prestazione, sugli eventuali rischi legati alle attività presenti sul luogo di lavoro, sulle misure preventive da porre in atto e sulle attrezzature da utilizzare
                    • cooperare nella valutazione dei rischi legati all’interferenza dell’attività
                    • coordinare le misure di prevenzione dei rischi generici o specifici connesse all’attività delle imprese
                    • informare i lavoratori dei pericoli specifici dei lavori da eseguire.

                    Personale non dipendente

                    Oltre al personale dipendente nell’A.S.L. CN2 è presente anche altro personale non dipendente che a vario titolo svolge un’attività in modo più o meno continuativo (es. volontari, borsisti, lavoratori somministrati, liberi professionisti, studenti, tirocinanti, ecc.).
                    Il D.Lgs. 81/2008 all’art. 2, comma 1 definisce come lavoratore la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
                    Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il volontario che effettua il servizio civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni.
                    Pertanto, sulla base delle indicazioni sopra esposte, tale personale, ai fini della sicurezza sui luoghi di lavoro deve fare riferimento al proprio Tutor o al Responsabile del Servizio e attenersi ai regolamenti del servizio e aziendali.

                    ASL CN2