La sicurezza in Ospedale è un valore che non si può trascurare, una variabile strutturale o tecnologica dalla quale non solo dipende la salute ma la stessa incolumità fisica di pazienti e dipendenti. Risulta quindi di fondamentale importanza effettuare una valutazione dei rischi, intesa come l’insieme di tutte quelle operazioni, conoscitive e operative, che devono essere attuate per addivenire ad una stima del rischio d’esposizione ai fattori di pericolo per la sicurezza e la salute del personale in relazione allo svolgimento delle lavorazioni.
Tale valutazione è pertanto un’operazione complessa che richiede per ogni ambiente o posto di lavoro considerato una serie d’operazioni, successive e conseguenti tra loro, che dovranno prevedere:
Nelle strutture sanitarie coesiste uno scenario completo di rischi convenzionali ed emergenti (fisici, chimici e biologici) difficilmente riscontrabile in altre realtà industriali.
Nell’ambito dell’Asl Cn2 i rischi per qualifica individuati sono (aggiorn. 30-09-09):
Conformemente a quanto indicato nelle Linee guida per la valutazione del rischio. D.Lgs. 626/94. Applicazione alle strutture del SSN‰ dell’I.S.P.E.S.L., si possono quindi elencare i rischi maggiormente presenti nelle strutture sanitarie.
Il rumore (che può essere genericamente definito come un suono inutile o fastidioso), negli ambienti di lavoro è ormai diventato uno dei problemi più importanti. È causa di danno (ipoacusia, sordità) e comporta la malattia professionale statisticamente più significativa.
Gli effetti nocivi che il rumore può causare sull’uomo dipendono da tre fattori:
Questi effetti possono essere distinti in:
Il D.Lgs 81/2008 (artt. 187-198) definisce e regolamenta le procedure per ridurre anche i rischi da rumore negli ambienti di lavoro. La sua corretta applicazione dovrebbe portare ad una riduzione della sordità da rumore.
I valori limite di esposizione e i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco, sono fissati a:
Laddove a causa delle caratteristiche intrinseche della attività lavorativa l’esposizione giornaliera al rumore varia significativamente, da una giornata di lavoro all’altra, è possibile sostituire, ai fini dell’applicazione dei valori limite di esposizione e dei valori di azione, il livello di esposizione giornaliera al rumore con il livello di esposizione settimanale a condizione che:
Si può riscontrare esposizione per coloro che operano in ambienti tipo la centrale termica, i gruppi elettrogeni, le officine di manutenzione, le lavanderie, le stirerie, ecc. Nel caso dell’Asl Cn2 i livelli di esposizione professionale quotidiana rilevati sono inferiori a 85 dB(A), valore considerato “livello d’attenzione”.
Un’oscillazione rapida e di piccola ampiezza produce una vibrazione. Le vibrazioni sono regolamentate dal D.Lgs. 81/2008 (artt. 199-205) e sono differenziate in funzione della frequenza, della lunghezza d’onda, dell’ampiezza, della velocità e dell’accelerazione.
In relazione alle lavorazioni, è possibile distinguere due criteri di rischio:
Gli effetti nocivi interessano nella maggior parte dei casi le ossa e le articolazioni della mano, del polso, del gomito e sono anche facilmente riscontrabili affaticamento psicofisico e problemi di circolazione.
La prevenzione deve essere fondata su provvedimenti di tipo tecnico (tendere a diminuire la formazione di vibrazione da parte di macchine e attrezzi e successivamente limitare la propagazione diretta e indiretta sull’individuo utilizzando adeguati dispositivi di protezione individuale), di tipo organizzativo (è opportuno introdurre turni di lavoro, avvicendamenti, ecc.) e di tipo medico con visite preventive (in quanto è indispensabile una selezione professionale) e visite periodiche (per verificare l’idoneità lavorativa specifica).
Con il termine comfort ambientale (microclima) si intendono quei parametri ambientali che influenzano gli scambi termici tra soggetto e ambiente negli spazi confinati e che determinano il cosiddetto “benessere termico”. Indispensabile è inoltre la purezza dell’aria.
In particolare il comfort microclimatico è quindi definito dai seguenti parametri:
Esempi di condizioni microclimatiche così come stabilito dal D.P.R. 14.01.1997 e dalla D.C.R. Piemonte 616/2000 sono:
Appare evidente come il comfort sia legato ad una serie di caratteristiche strutturali dell’edificio, all’esposizione, alla rumorosità del contesto ambientale, all’inerzia termica dell’edificio, alla qualità delle finiture, al livello di manutenzione, all’indice di affollamento, ecc. Nei casi in cui non sia possibile attuare tutte o in parte le condizioni sopra riportate, è possibile ricorrere alla ventilazione: l’ideale sarebbe il condizionamento generale dell’ambiente di lavoro, cosa non sempre praticabile quando si è in presenza di notevoli fonti di calore. In casi eccezionali si può presentare ricorso ad una ventilazione localizzata. Nel caso di situazioni termiche elevate, misure di carattere preventive vanno individuate anche nell’organizzazione del lavoro (pause, periodi di riposo, ecc.).
Il grado d’illuminazione influisce sulla fatica visiva, sull’attività in generale, sulla sicurezza e sul benessere delle persone: è indispensabile pertanto che soddisfi le specifiche esigenze degli operatori.
Gli obbiettivi da perseguire sono:
È sempre preferibile sfruttare l’illuminazione naturale e solo quando ciò non è possibile ricorrere, come completamento o in totale sostituzione, all’illuminazione artificiale.
Esempi di illuminamento artificiale degli ambienti di lavoro in ambito ospedaliero (da Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro ISPESL 1/06/2006):
Un rischio fisico importante nel settore sanitario è quello d’esposizione a radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, utilizzate per una prolungata e non protetta attività a scopo diagnostico, terapeutico o di disinfezione.
Le radiazioni ionizzanti sono delle particelle e delle onde elettromagnetiche dotate di potere altamente penetrante nella materia e ciò permette alle radiazioni di far saltare da un atomo all’altro gli elettroni che incontrano nel loro percorso. In tal modo gli atomi, urtati dalle radiazioni, perdono la loro neutralità (che consiste nell’avere un uguale numero di protoni e di elettroni) e si caricano elettricamente, ionizzandosi. L’esposizione può determinare gravi danni fino alla morte cellulare, ecc…
I tipi di radiazioni ionizzanti sono:
L’esposizione può essere ridotta basandosi su tre fattori fondamentali in radioprotezione:
Per garantire condizioni di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori l’Azienda provvede alla:
Sono invece classificati in categoria B i lavoratori esposti non classificati in categoria A.
Le radiazioni non ionizzanti, sono quelle radiazioni elettromagnetiche il cui meccanismo di interazione con la materia non consiste nella ionizzazione.
Le radiazioni non ionizzanti sono generalmente prodotte da elettrodomestici, telefoni cellulari, tralicci, elettrodotti e in ambito ospedaliero sono prodotte da apparecchiature di terapia fisico-riabilitativa generanti radiofrequenze (marconi terapia), laser e microonde (radar terapia) e da apparecchiature a raggi ultravioletti (lampade germicide, apparecchi per fototerapia – malattie della pelle, ittero neo-natale e per indurimento di gessi in ortopedia e resine in odontoiatria). Nell’A.S.L. CN2 nell’anno 2000 è stato eseguito il monitoraggio da parte dell’A.R.P.A. Piemonte e i valori di campo elettrico sono risultati inferiori ai limiti stabiliti dalle vigenti normative.
Il personale addetto è opportuno che limiti la sosta e i tempi di permanenza nelle aree dove sono in funzione tali apparecchiature, oltre ad usare i D.P.I.
Si deve precisare inoltre che non tutto l’elettromagnetismo è uguale. Va distinto quello a basse frequenze da quello ad alte frequenze. In entrambi i casi si produce una corrente elettrica nei tessuti ma l’incidenza come causa di tumori è diversa. Trattandosi di radiazioni non ionizzanti, l’energia non è comunque tale da provocare mutazioni genetiche nel Dna.
Le basse frequenze sono emesse normalmente da tralicci, elettrodotti, cabine di trasformazione. Tra i sintomi dovuti all’ elettrosmog a intensità superiori ai 100 microtesla, l’elettromagnetismo induce malessere, mal di testa e brividi. Nelle abitazioni l’intensità dell’elettromagnetismo non supera i 0,2 microtesla anche se nulla può ancora essere detto sugli effetti sulla salute dopo lunghi periodi di esposizione.
Le alte frequenze sono invece emesse normalmente dai telefoni cellulari, da antenne e ripetitori. E’ stata analizzata la possibilità che l’uso dei telefoni cellulari, e delle radiazioni che derivano dal suo funzionamento, siano causa dell’insorgere di tumori del cervello (nella zona del cranio dove si poggia il telefonino). Dubbi e paure sono però state smentite da ricerche e studi compiuti nel 2000 e nel 2001 (National Cancer Institute ed altri studi). Il numero di studi però è ancora insufficiente per avvalorare una tesi piuttosto che un altra. Per quanto riguarda le radiazioni prodotte dalle antenne e dai ripetitori, le prime ricerche tendono a minimizzare il loro impatto sulla salute in quanto le radiazioni calano rapidamente con l’allontanarsi dalla fonte che le genera.
Il laser, come sopra specificato, è incluso fra le sorgenti di radiazione non ionizzante e per il suo impiego massiccio e diffuso ormai a tutti i livelli della sperimentazione scientifica, merita senz’altro una considerazione particolare.
Laser è il noto acronimo per Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, il processo fisico che sta dietro alla radiazione elettromagnetica intensa, coerente e direzionale che può essere ultravioletta (200 – 400 nm ), visibile (400 – 700 nm), o infrarossa (700 nm – 300 mm).
I rischi connessi all’uso del laser sono sia quelli relativi alle caratteristiche intrinseche del fascio, sia quelli derivanti dalle apparecchiature che permettono di creare e mantenere questo tipo di radiazione.
L’interazione diretta con il fascio interessa in modo particolare occhi e pelle; ad esempio, la radiazione proveniente da un laser si focalizza sulla retina in un’immagine estremamente ridotta, tanto che l’esposizione incidente viene aumentata di quasi 5 ordini di grandezza, a causa dell’effetto di focalizzazione della retina stessa.
Anche senza questo effetto, naturalmente, alcuni tipi di laser producono una radiazione sufficientemente intensa da provocare ustioni alla pelle in caso di contatto diretto.
Occorre poi tenere presente che un laser necessita di alimentazione elettrica, con tutti i pericoli conseguenti, connessi con le apparecchiature di potenza elevata.
Spesso il materiale attivo è allo stato gassoso, quindi più difficilmente controllabile rispetto a barrette solide, e non sempre si tratta di materiale chimicamente inerte o innocuo.
A volte si utilizzano sostanze coloranti (dye laser) e quindi solventi, e così via.
Questo breve richiamo su cose certamente note può sembrare banale, ma vuole portare l’attenzione su aspetti che, proprio perché ben conosciuti e sempre sotto gli occhi, possono venire dati per scontati e, quindi, ignorati nelle procedure di normale operatività; questo è un atteggiamento estremamente pericoloso; se da un lato infatti è bene acquisire la familiarità e la manualità che permettono di svolgere tranquillamente lavori tecnici, è comunque fondamentale non dare nulla per scontato, soprattutto quando, come può avvenire in INFM, si ha a che fare con personale nuovo, inesperto, al quale occorre presentare, da subito, tutti gli aspetti pericolosi dell’ambiente e delle apparecchiature.
Esistono quindi molti tipi di laser, che possono essere classificati a partire da:
Secondo l’American National Standard Institute ANSI Z136.1-1976, i laser sono classificati in 4 classi di pericolosità crescente.
Tutti i laser in commercio devono portare indicazione della classe di appartenenza, in modo da poter essere utilizzati in sicurezza.
Le quattro classi “standard” sono comunque le seguenti:
CLASSE 1 – Exempt Laser
Il fascio laser è considerato innocuo in qualsiasi condizione d’uso. Questo perché la radiazione emessa è sempre al disotto degli standard massimi consentiti (MPE, Massima Esposizione Permessa).
CLASSE 2 – Low-Power, Visible, Continuous-Wave Laser
I laser in questa classe possono emettere radiazione pericolosa, tuttavia la loro potenza è sufficientemente bassa da consentire, con una azione di riflesso, di evitare esposizioni inattese. Questo non esclude la possibilità di riportare danni nel caso di esposizione prolungata (‘prolungata’ qui significa maggiore di 0,25 secondi, tempo entro il quale si ha riflesso incondizionato). Sono compresi in questa classe solo i laser ad emissione continua e nel visibile, con potenza ≤ 1 mW.
CLASSE 3A – Medium Power Laser
I laser con emissione nel visibile e una potenza in uscita fino a 5mW per i laser in continua, o 5 volte il limite di classe 2 per i laser a impulsi ripetuti o a scanning. Possono emettere radiazioni sia nel campo del visibile che in quello del non visibile e i loro fasci non sono pericolosi se osservati direttamente in maniera non continua, mentre lo possono diventare se si utilizzano strumenti che amplificano e concentrano il fascio ottico (quali microscopi, binocoli, ecc.)
CLASSE 3B – Medium Power Laser
I laser di classe 3B hanno potenze medie comprese tra i limiti della classe 3A e 500 mW. I laser di classe 3B sono pericolosi per gli occhi se non protetti e possono essere pericolosi per la pelle; anche le riflessioni diffuse da questi sistemi possono essere pericolosi.
CLASSE 4 – High Power Laser
Sono i laser più pericolosi in quanto, oltre ad avere una potenza tale da causare seri danni ad occhi e pelle anche se il fascio è diffuso, possono costituire un potenziale rischio di incendio, causare fuoruscita di materiale tossico e spesso il voltaggio e l’amperaggio di alimentazione sono pericolosamente elevati. Molti tipi di laser sono contenuti in strutture chiuse; in questo caso, la loro pericolosità viene calcolata sulla base della radiazione effettivamente visibile all’esterno della struttura stessa. Naturalmente il sistema deve essere protetto contro gli accessi accidentali, da parte di personale non autorizzato, durante il funzionamento dell’apparecchiatura.
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La Risonanza Magnetica Nucleare è quella tecnica radiologica che, utilizzando proprietà di alcuni nuclei atomici di emettere radiazioni elettromagnetiche, fornisce immagini di sezioni trasverse dell’organismo umano secondo una rappresentazione morfologica della distribuzione dell’acqua (atomi idrogenoidi).
Da un punto di vista tecnico può comportare rischi la fase di:
È inoltre necessario adottare le seguenti precauzioni:
La sorveglianza fisica del personale esposto e dei locali è effettuata dal Fisico Responsabile.
Infine si può riscontrare esposizione ad uso d’apparecchiature emittenti campi elettromagnetici.
È noto, anche in seguito a recenti studi sulla compatibilità elettromagnetica in ambito umano, che l’uso d’apparecchiature elettromedicali, apparecchi per la telefonia cellulare, ecc. possono o potrebbero provocare disturbi alla salute.
La causa è stata individuata nei campi elettromagnetici emessi da tali apparecchiature.
Pertanto è obbligatorio che tutte le apparecchiature siano conformi alle normative specifiche e non superino determinati valori, quali ad esempio:
La normativa di riferimento è sempre il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (artt. 206-212).In ogni caso si raccomandano alcune regole prudenziali da osservare per la salute delle onde elettromagnetiche emesse dai telefoni cellulari (è verosimile supporre potenziali danni alla salute umana):
Inoltre, anche in seguito alle varie indicazioni fornite dalla Regione Piemonte, l’uso di apparecchi per la telefonia cellulare può provocare significative interferenze al funzionamento di apparecchiature elettromedicali presenti in ambito ospedaliero.
Pertanto la distanza raccomandata, cui il telefono cellulare deve essere usato, è di 2 m dalle apparecchiature stesse. Inoltre vi è la prescrizione di tenerli disattivati in: Rianimazione, Cardiologia (UTIC), Sale Operatorie, Emodialisi, Risonanza Magnetica e Laboratorio Analisi, per cui il personale che ha la dimostrata necessità di essere prontamente reperibile, dovrà munirsi di appositi cerca-persona.
L’uso dei telefonini può essere tuttavia consentito negli spazi delle strutture ospedaliere, diversi da quelli sopra identificati, sempre nel rispetto delle fasce di protezione (distanza minima di 2 m dalle apparecchiature elettromedicali).
Analoghe alterazioni possono essere indotte da campi elettromagnetici generati dall’uso di “cordless”. Per questi ultimi è stata stabilita in 0,6 m la distanza minima dalle apparecchiature elettromedicali.
Il personale sanitario può essere esposto a questo rischio quando, per motivi professionali n’effettua la preparazione e la somministrazione. La manipolazione di antibiotici può essere causa di possibili effetti allergici (principalmente dermopatie a carico delle mani, orticaria, rinite, asma bronchiale) così come alcune pomate o preparati topici. È buona norma per tutti gli addetti usare guanti di protezione ed evitare la dispersione ambientale (polveri, soluzioni, aerosol). Merita grande attenzione la preparazione e somministrazione dei farmaci antitumorali, dotati, in generale di potere irritante per la cute e per le mucose (anche necrosi dei tessuti) e quale effetto collaterale più grave, la possibilità di indurre mutazioni genetiche e di azione cancerogena.
Durante la preparazione e somministrazione di tali farmaci a potenziale effetto oncogeno e/o mutageno, occorre adottare misure preventive in grado di ridurre il più possibile l’esposizione con:
È necessario che le operazioni di preparazione e di somministrazione dei farmaci antiblastici siano effettuate nel rispetto delle seguenti procedure:
Per il rischio da inalazioni di polveri come tali o contaminate da sostanze chimico-medicamentose, connesse alle attività lavorative della Farmacia, del Servizio Veterinario ecc…, è necessario prendere visione del prodotto utilizzato e seguire le istruzioni fornite dal fabbricante dei preparati. In quest’ambito si raccomanda di utilizzare respiratori filtranti (non le mascherine chirurgiche in quanto non forniscono una protezione sufficiente), camice o tuta monouso e guanti monouso.
In ambiente sanitario sono utilizzati prodotti ad:
Gli eventuali danni sono individuabili in patologie locali (mani, avambracci) dette anche “patologie da lavori umidi”.
Per prevenire il rischio di esposizione a sostanze e preparati disinfettanti e detergenti occorre che siano attuate una serie di misure tecniche ed organizzative nello specifico:
L’uso della glutaraldeide (disinfettante) può comportare esposizione sia per via inalatoria sia per via cutanea (accidentalmente), con possibile comparsa di effetti irritativi/allergici a carico delle mucose, degli occhi, delle prime vie respiratorie e della cute.
Gli operatori (medici, tecnici, infermieri, ausiliari, ecc.) che utilizzano, preparano o smaltiscono soluzioni di glutaraldeide, devono essere dotati di: protezione per le mani (guanti monouso in nitrile), protezione per le vie respiratorie (facciali filtranti usa e getta), protezione per gli occhi/faccia per possibili spruzzi in particolare nella manipolazione della soluzione su piano libero (occhiali a mascherina o visiera e schermi trasparenti) e protezione per il corpo (camici lunghi o grembiuli impermeabili, ecc.).
Al fine di ridurre il livello di rischio sono raccomandabili una serie di interventi tecnici (da effettuarsi sotto cappa aspirante) ed organizzativi, tra i quali:
In caso di incidente o versamento ambientale è importante rimuovere immediatamente la quantità sparsa con materiale assorbente (carta, segatura, cotone idrofilo, ecc.); in caso di imponente contaminazione cutanea è importante togliere subito gli abiti e lavare abbondantemente la cute con acqua fredda e poi recarsi al Pronto Soccorso; in caso di spruzzo agli occhi è fondamentale lavare immediatamente gli occhi con soluzione fisiologica per almeno 15 minuti e inviare l’infortunato al pronto soccorso.
Le sostanze chimiche sono “pericolose” quando possono arrecare danni immediati o differiti nel tempo all’uomo che ne viene a contatto, oppure all’ambiente.
Il danno che si origina può essere reversibile o irreversibile e investire un’area localizzata (ad esempio un particolare tessuto) o l’intero organismo, con eventuali conseguenze negative anche per le generazioni successive.
In generale, una sostanza chimica è classificata al livello normativo:
mentre, per i suoi effetti a carico del patrimonio genetico cellulare, è classificata:
In particolare una sostanza è classificata da un punto tossicologico mediante dati sperimentali sull’uomo ottenuti a seguito di esposizioni accidentali oppure, come più spesso accade, dall’estrapolazione dei dati ricavati da sperimentazioni su animali in laboratorio.
Fino ad oggi, solo per poche sostanze si è ottenuta una classificazione tossicologica valutandone gli effetti tossici causati da esposizioni a basse concentrazioni e per lunga durata (tossicità sub-acuta o sub-cronica). Per la maggior parte delle sostanze chimiche conosciute, si sono effettuati infatti studi di tossicità acuta, ossia ricerche sul pericolo di arrecare danno a seguito di un’esposizione a concentrazioni elevate e per breve tempo. Questa, infatti, è la condizione più comune di esposizione in caso di incidenti industriali.
Da un punto di vista normativo la classificazione è stata schematizzata etichettando le sostanze con figure e simboli, ossia attribuendo loro una rappresentazione grafica, che richiama piuttosto intuitivamente l’effetto nocivo dell’agente chimico, accompagnata da sigle che ne definiscono le caratteristiche di pericolo.
Per esigenze di immediatezza e semplicità di rappresentazione, i simboli e le figure sono in numero limitato e, pertanto, non possono che fornire informazioni generali sulle sostanze, evidenziandone gli effetti globali a seguito di esposizione.
Una descrizione più puntuale delle caratteristiche di pericolo di una sostanza viene fornita dalle cosiddette frasi di rischio, indicate con la lettera R seguita da uno o più numeri, a cui è collegata la proprietà specifica di pericolosità e la via attraverso la quale può entrare in contatto con l’organismo esplicando effetti nocivi. Tali notazioni, oggi giunte a più di 65, costituiscono il criterio di classificazione con il quale sostanze e preparati pericolosi vengono o meno ricompresi nella disciplina del controllo dei pericoli di incidente rilevante.
La classificazione di una sostanza consiste nell’inserirla in una o più categorie di pericolo di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 93/32/CEE (esplosive, comburenti, infiammabili, tossiche), attribuendole la o le corrispondenti frasi di rischio. Dalla classificazione derivano per la sostanza una serie di disposizioni legislative e regolamenti relative alle sostanze pericolose.
L’etichettatura di una sostanza pericolosa consiste nell’attribuzione ad essa di una etichetta sulla quale figurano i simboli indicanti la/le categoria/e di pericolo a cui appartiene, le frasi di rischio (rappresentate da una serie di cifre precedute dalla lettera R) e i consigli di prudenza (rappresentati da una serie di numeri precedute dalla lettera S).
Quando ad una sostanza si assegnano più simboli, la sua etichetta potrà riportare soltanto quelli che danno l’indicazione delle caratteristiche più pericolose (art. 20 del D.Lgs. 52/97):
A titolo di esempio, si riportano figure e simboli più comuni.
Per gas s’intende ogni sostanza che si trovi nel particolare stato fisico, detto appunto gassoso o aeriforme. I gas non hanno, dal punto di vista fisico, né forma, né volume, ma tendono ad occupare tutto lo spazio a loro disposizione.
Essi sono classificati in: comburenti (permettono e mantengono la combustione ma non possono bruciare), combustibili (possono bruciare soltanto in presenza di un comburente), inerti e asfissianti (non mantengono la vita, non sono infiammabili, non permettono e non mantengono la combustione), tossici (nocivi per l’organismo a partire da una certa concentrazione e in funzione della durata dell’esposizione) e corrosivi (reagiscono chimicamente con molti prodotti come metalli, vestiti, tessuti umani, ecc.).
La produzione dei gas medicinali previsti dalla farmacopea ufficiale è regolata dai D.Lgs. del Ministero della Sanità n. 178/1991, n. 538/1992 e s.m.i.
I principali gas medicinali sono:
I principali gas utilizzati nelle terapie sono:
Inoltre esistono i gas puri e speciali per applicazioni mediche, tecniche e di laboratorio.
Ossigeno (O2): è nella pratica medica, un farmaco legato alla funzione respiratoria che ha il compito di diffonderlo a livello cellulare. Non è infiammabile, ma favorisce la combustione. Può provocare l’infiammabilità spontanea delle materie organiche, in particolare oli, grassi o materie da loro impregnate. L’inalazione di ossigeno puro gassoso non è dannosa per l’organismo, salvo casi di esposizione prolungata che possono provocare fenomeni d’iperossia. L’ossigeno liquido, genera vapori freddi più pesanti di quello dell’ossigeno allo stato gassoso. Il contatto con oli, grassi, tessuti, legno, vernici e sporcizia può provocare reazioni violente ed infine può provocare gravi lesioni alla pelle. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “ossigeno” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere bianco.
Protossido d’Azoto (N2O): in condizioni normali è un gas incolore, non irritante ed inodore. È un prodotto relativamente stabile, poco reattivo in condizioni normali e debolmente anestetico (narcotico). È un gas comburente in presenza di altri gas e vapori infiammabili. Inoltre è più pesante dell’aria e pertanto tende ad accumularsi verso il basso (fosse, tombini, cunicoli, ecc.). Il protossido d’azoto liquido può provocare gravi lesioni alla pelle ed aumenta rapidamente di volume quando si riscalda. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “protossido d’azoto” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere blu.
Anidride Carbonica (CO2): è un prodotto fondamentale della combustione di tutte le sostanze organiche. In ambito ospedaliero è utilizzata in miscela con altri gas, per emogasanalisi o in terapia viste le sue particolari caratteristiche di vaso dilatatore. A temperature superiori di 31°C (temperatura critica) si trova sotto forma gassosa indipendentemente dalla pressione. È un gas asfissiante (se > 7%) ed è più pesante dell’aria. La sua decompressione produce freddo (ghiaccio secco). Non è combustibile né comburente. Gli elementi che portano all’identificazione della bombola sono: la scritta “anidride carbonica” incisa per esteso sull’ogiva e il colore distintivo dell’ogiva che deve essere grigia.
Per quanto riguarda il rischio di esposizione a gas anestetici (protossido d’azoto e i composti alogenati, quali alotano, enflorano, isoflorano, metossi-fluorano) occorre che al momento dell’uso siano attuate una serie di misure comportamentali e di tecnica anestesiologica:
Tutti i gas medicinali sopra descritti sono stoccati generalmente ad alta pressione in bombole o a pressione più bassa in contenitori criogeni.
I rischi derivanti dalla bombole sono:
Alcune tra le principali prescrizioni di sicurezza nella movimentazione delle bombole sono:
Per individuare il gas è essenziale riferirsi sempre all’etichetta apposta sulla bombola e in particolare al colore dell’ogiva, che deve essere:
È bene ricordare anche l’esposizione a lattice di gomma naturale, derivante principalmente dall’utilizzo di guanti.
I sintomi ed i segni conseguenti alla sensibilizzazione al lattice possono essere:
Si possono presentare quindi quadri clinici di: orticaria localizzata o generalizzata, rinite, asma bronchiale, edema della glottide, dermatite da contatto immediata, ecc…
Esempi di prodotti che possono contenere lattice sono: guanti, cerotti, elastici, scarpe, gomma per cancellare, ecc…
Attualmente non sono disponibili trattamenti per la cura dell’allergia al lattice; il provvedimento preventivo più efficace è certamente l’impiego di guanti privi di lattice o comunque modelli a basso contenuto di proteine libere e senza polvere lubrificante interna.
Inoltre i guanti devono essere indossati su mani pulite e ben asciugate subito prima di iniziare le manovre a rischio e rimossi al termine delle stesse con un immediato lavaggio delle mani.
Il fumo passivo da sigaretta in ambiente di lavoro rappresenta un rischio da prendere in esame nell’ambito del documento di valutazione dei rischi, così come indicato anche nella monografia IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione che è organismo che opera all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), volume 83, anno 2002, che classifica il fumo passivo come cancerogeno di Gruppo 1, ovvero sostanza cancerogena per l’essere umano con l’evidenza di una relazione causa-effetto tra l’esposizione alla sostanza in esame e la comparsa di tumori nell’essere umano.
A tal proposito la normativa di riferimento è la Legge 3/2003 che stabilisce il divieto di fumare nei locali chiusi, ad eccezione di quelli provati non aperti ad utenti o al pubblico e di quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati.
L’A.S.L. CN2 con determinazione aziendale n.91 del 26/01/2005 ha esteso il divieto di fumare alla totalità dei locali al chiuso.
In ambiente ospedaliero il rischio biologico è intrinsecamente correlato con l’attività dell’operatore sanitario e quindi per il diretto contatto con i malati, possibili portatori di patologie infettive, e con i loro liquidi biologici (sangue, saliva, aerosol respiratori, urine, feci, ecc.) anch’essi potenzialmente infetti.
Le possibili vie attraverso cui si può realizzare la penetrazione dei microrganismi patogeni comprendono la:
In generale il rischio biologico può essere di tipo:
Analizzando il rischio biologico di tipo infortunistico, si può affermare che molte infezioni possono essere contratte in seguito a ferite casuali con aghi e strumenti taglienti contaminati con materiale biologico infetto e/o per contatto di materiale infetto con mucose o pelle non integra, dal rapporto continuativo tra il personale sanitario e i malati, dalla presenza di materiale biologico potenzialmente infetto, dall’uso di strumenti e apparecchi di diagnosi e cura, dall’eventuale inquinamento ambientale dei settori di degenza, ecc.
Sono quindi da considerarsi attività potenzialmente a rischio tutte quelle manovre che sono compiute quotidianamente dal personale infermieristico e ausiliario che comportano la manipolazione di strumenti, oggetti, materiali eventualmente contaminati tipo le padelle, i pappagalli, la strumentazione chirurgica.
I reparti a maggior rischio sono: Chirurgia, Laboratori, Dialisi, Pediatria, Neonatologia, Pronto Soccorso, Sale per autopsie, Anatomia Patologica, ecc.
Data la gravità del rischio occorre prestare la massima attenzione al pericolo di ferirsi e/o pungersi, infatti, la puntura d’ago o il taglio con strumenti chirurgici contaminati con materiale biologico proveniente da pazienti potenzialmente infetti, costituisce la principale causa di trasmissione di malattie infettive per via parenterale quali l’epatite virale B e C e l’HIV.
La prevenzione varia in relazione alla tipologia d’infortunio e si attua soprattutto attraverso la sensibilizzazione degli operatori (considerando che il rischio maggiore dipende non dal paziente noto per la patologia infettiva, ma da quello con malattia non accertata) ed in particolare occorre fare riferimento alle norme universali (evitare cali d’attenzione che seguono il completamento della pratica iniettoria, non reincappucciare mai l’ago dopo l’uso, non disassemblare mai strumenti monouso, organizzare correttamente gli spazi e gli strumenti di lavoro, ecc.
Se si verifica un infortunio a seguito di esposizione accidentale professionale a materiale biologico attraverso punture, tagli o contatto mucoso occorre:
Lo schema di percorso del dipendente in caso di infortunio prevede:
Le norme di comportamento a seconda del tipo d’attività cui è addetto il personale ospedaliero esposto sono imposte dal decreto del Ministero Sanità del 28/09/90.
In ogni caso è opportuno e obbligatorio fare riferimento ai protocolli sanitari presenti nella struttura ospedaliera e nello specifico prevedono:
Le precauzioni universali prevedono:
Si devono infine ricordare i rischi connessi alle attività lavorative tipo quelle svolte dal Servizio Veterinario, nell’esecuzione delle prove tubercolari, dei prelievi di sangue su animali, delle vaccinazioni e di altri interventi che possono comportare esposizione a materiale infetto (zoonosi).
Per quanto riguarda l’esecuzione della prova tubercolina, si ritiene necessario indicare le seguenti norme:
Gli infortuni sono un evento dannoso la cui causa agisce in un tempo breve e concentrato. Sono infortuni professionali se si verificano durante un turno di lavoro: “la causa dell’infortunio deve aver agito mentre il soggetto o si trova sul luogo di lavoro oppure sta compiendo un’azione correlata al lavoro stesso”.
In ambiente ospedaliero gli infortuni sul lavoro costituiscono un fenomeno non trascurabile e possono avere cause molteplici; le più comuni sono costituite da cadute, urti, tagli o punture e da un non corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale forniti dall’Azienda, dei dispositivi medici (apparecchiature elettromedicali) e delle macchine (molatrici, saldatrici, trapani verticali, frullatori, affettatrici, carrelli elevatori, ecc.). Si osserva inoltre che gli eventi più gravi sono quelli legati all’uso dei veicoli.
Per la prevenzione dei rischi da movimentazione dei pazienti e dei carichi occorre:
Per i rischi da scivolamento e caduta in piano e di urti contro mobili, apparecchiature, suppellettili occorre:
Per il problema di atti violenti occorre specificare che molte volte questi sono involontari in quanto dipendenti dall’insufficiente autocontrollo dei pazienti riconducibile a specifiche patologie . La prevenzione si attua attraverso la tempestiva identificazione delle patologie dei pazienti che possono assumere involontari comportamenti aggressivi (pazienti psichiatrici, etilisti, ecc.) e attraverso una sempre migliore pianificazione dell’assistenza, in modo da ridurre o ancor meglio eliminare i motivi di attrito tra operatori sanitari e pubblico.
I dispositivi medici, anche se gestiti in modo separato, seguono i criteri organizzativi ed i sistemi procedurali indicati per le macchine (direttiva 89/392/CEE). Il nostro ordinamento ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 46/97 e s.m.i., entrato in vigore nel giugno 1998. La normativa ha radicalmente rivoluzionato il modo di operare delle aziende costruttrici di dispositivi medici, al fine di offrire al mercato prodotti con un elevato e garantito grado di sicurezza ed affidabilità.
Quest’elevato grado di sicurezza è garantito dalla presenza della marcatura CE di conformità apposta sul prodotto (non sono soggetti alla marcatura CE: i dispositivi destinati ad indagini cliniche e i dispositivi su misura); tale marcatura è assegnata solo a quei prodotti che dimostrano di aver pienamente soddisfatto i requisiti essenziali di sicurezza.
Continuano invece ad essere oggetto di commercializzazione ed uso, pur privi della marcatura CE di conformità, tutti quei dispositivi che sono stati per la prima volta immessi in commercio ed in servizio in data anteriore al 14 giugno 1998.
All’acquisto di un dispositivo medico si deve scrupolosamente verificare inoltre che insieme al prodotto siano fornite tutte le informazioni e le istruzioni d’uso necessarie (che devono essere sempre correttamente conservate) in materia di:
È chiaramente comprensibile come l’intrinseca sicurezza di un dispositivo medico sia condizione essenziale ma non sufficiente a garantire il paziente: a questa condizione deve infatti accompagnarsi un utilizzo appropriato e corretto del dispositivo.
La definizione di macchina data dalla cosiddetta “Direttiva Macchine” (D.P.R. 459/96) è assai vasta e in essa rientrano molte attrezzature di lavoro presenti normalmente anche nei vari reparti di un ospedale: nelle mense e nelle cucine (frullatori, coltelli elettrici, affettatrici, ecc.), in lavanderia (rotaie meccanizzate, trasporto abiti, lavatrici, ecc.), negli uffici (archivi meccanizzati, ecc.), e macchine che si trovano un po’dovunque, quali utensili per manutenzione (trapani, seghetti, ecc.), macchine per il trasporto e il sollevamento (carrelli elevatori, piattaforme di sollevamento, ecc.), cancelli automatizzati, ecc.
Il Datore di Lavoro deve garantire che le macchine siano “a norma” e siano utilizzate in conformità al manuale d’uso, da parte di personale consapevole, informato e formato ed eventualmente munito di D.P.I. ove necessario.
Tale Direttiva è rivolta principalmente al fabbricante e gli impone l’obbligo della marcatura CE che attesta la piena conformità i requisiti Essenziali di Sicurezza stabiliti dalla Direttiva stessa, sotto la sua piena responsabilità. Per macchine costruite prima dell’entrata in vigore della “Direttiva Macchine” è necessaria l’autocertificazione attestante la rispondenza della macchina alla legislazione previgente, la presenza del manuale d’uso e di manutenzione redatto in lingua italiana e l’effettiva rispondenza della macchina alla precedente legislazione mediante controlli e prove.
In ogni caso lavorare in sicurezza significa conoscere i rischi che possono manifestarsi durante l’uso delle macchine: è quindi indispensabile prestare sempre molta attenzione.
I rischi ai quali si può essere esposti possono derivare:
Gli addetti alle macchine operatrici devono quindi fare un corretto uso ed avere la massima cura dei D.P.I. (caschi, berretti, tappi auricolari, occhiali protettivi, visiere, guanti e scarpe antinfortunistiche) avuti in dotazione e non vi possono apportare modifiche di propria iniziativa.
Ad esempio per quanto riguarda i processi di saldatura, i rischi sono riferibili ai seguenti fattori:
I danni per la salute possono dipendere da:
Le azioni correttive necessarie al fine di ridurre i rischi sono:
Automezzi
I mezzi ospedalieri possono essere utilizzati solo per esigenze di servizio dal personale autorizzato e munito di patente di guida adeguata.
Prima di iniziare la guida di un mezzo è necessario controllare che:
Durante la guida dell’automezzo il conduttore deve:
Inoltre il conduttore non deve:
Scarica il documento “Regolamento per la gestione, utilizzo e guida degli automezzi di proprietà dell’ASL CN2”
Scarica il documento “Guida degli automezzi aziendali: informazioni utili per il vostro benessere”
Carrelli elevatori
Anche per la guida di carrelli elevatori l’operatore è tenuto:
Si rammenta infine di prestare particolare attenzione nell’attraversamento di incroci e strettoie, durante il trasporto le forcole del carrello devono essere tenute inclinate verso l’alto, tutte le manovre di sollevamento o prelievo devono essere effettuate previo allontanamento delle persone che si trovino esposte al rischio dell’eventuale caduta del carico, è vietato trasportare e/o sollevare persone sul carrello, non utilizzare il carrello per usi diversi da quello del trasporto di carichi, ecc…
I disturbi acuti e cronici del rachide sono assai diffusi tra coloro che devono assistere persone malate.
Sono moltissimi gli studi e le ricerche che indicano come gli infermieri siano tra le categorie professionali più colpite, già nei primi anni di lavoro, da patologie alla colonna vertebrale.
Il legame tra queste patologie e gli sforzi fisici e le conseguenti patologie è ovviamente più elevato laddove bisogna assistere soggetti immobilizzati o poco collaboranti (rianimazione, ortopedia, fisiatria, chirurgia, geriatria, ecc.). La prevenzione in questo campo non è facile; un paziente non è un qualsiasi oggetto pesante ma ha caratteristiche ed esigenze particolari di cui bisogna tenere conto per non fargli, oltre che non farsi, male.
Le metodologie di trasferimento possono variare in relazione all’entità / tipologia della disabilità del paziente.
È utile suddividere questi ultimi in due categorie:
Il corpo risulta in equilibrio quando la linea di gravità cade all’interno della base di appoggio. Un corpo è maggiormente stabile quando la base di appoggio è ampia e il centro di gravità è basso. La base di appoggio del corpo umano in stazione eretta è costituita dalla pianta dei piedi e dallo spazio interposto. Mantenendo i piedi uniti, la base di appoggio è più piccola e quindi l’equilibrio è instabile. Divaricando gli arti inferiori si rende la base di appoggio più ampia, migliorando l’equilibrio della posizione.
La prevenzione è anche possibile usando specifiche attrezzature per il sollevamento dei pazienti come:
ed attraverso l’istituzione di corsi di addestramento per il personale infermieristico dove siano insegnate le corrette modalità di sollevamento del paziente.
Scarica il documento “Esercizi Movimento e Benessere 2012”
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Con tale termine s’intende l’operazione di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni di sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico che per la sua caratteristica o in conseguenza di condizioni ergonomiche sfavorevoli, può comportare tra l’altro rischi di lesioni dorso-lombari.
Se la necessità di una movimentazione manuale dei carichi ad opera del lavoratore non può essere evitata occorre adottare alcune misure preventive in modo che essa sia quanto più possibile sicura e sana.
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio tra l’altro dorso-lombare nei casi in cui il carico sia troppo pesante, sia ingombrante o difficile da afferrare, sia in equilibrio instabile o sia collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco. Se la movimentazione è eseguita male potete farvi male alla schiena.
Una corretta postura rende tutto quello che fate più semplice e sarete meno soggetti a patologie del rachide, indolenzimenti o danni, quindi:
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Il rischio elettrico in ambiente ospedaliero riguarda sia i pazienti (rischio da macroshock per passaggio di corrente elettrica nell’organismo attraverso la pelle intatta e rischio da microshock legato all’uso di cateteri, sonde, elettrodi di stimolazione inseriti nei vasi o nel cuore) sia il personale sanitario (rischio di microshock per passaggio di corrente elettrica nell’organismo attraverso la pelle intatta).
Ai fini della riduzione dei rischi di infortunio di tipo elettrico occorre che il personale di assistenza segua precise norme di sicurezza atte ad evitare un uso improprio di apparecchiature elettriche ed in particolare occorre:
In particolare gli elettricisti dovranno:
In caso di folgorazione interrompere la corrente e se non possibile allontanare l’infortunato dalle parti in tensione utilizzando aste in legno, pedane isolanti o altri mezzi idonei e richiedere con la massima urgenza l’intervento sanitario.
L’uso dei videoterminali (VDT) è ormai in costante crescita in tutte le attività d’ufficio e una così ampia diffusione ha focalizzato l’attenzione nell’individualizzazione di ogni possibile rischio connesso con le specifiche modalità operative.
Su queste basi, alla luce di numerosissimi riscontri scientifici, si può escludere che l’uso di VDT da parte di persone in normali condizioni di salute possa indurre effetti nocivi, a breve e lungo termine. Occorre ricordare invece che lavorare al VDT può evidenziare l‘esistenza di disturbi visivi preesistenti e magari trascurati o non noti all’operatore. Inoltre tutte le ricerche fino ad ora realizzate hanno escluso la possibilità di emissioni di radiazioni ionizzanti da parte del video, in quanto la potenza di tali raggi è modestissima.
Si definisce videoterminalista, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., il lavoratore che utilizza in modo sistematico e abituale per 20 ore settimanali dedotte le interruzioni di cui all’art. 175 (15 minuti ogni 120 minuti di lavoro).
I più comuni “disturbi da computer” si possono dividere in:
Per prevenire i disturbi visivi è necessario: adattare lo schermo alle condizioni di illuminamento ambientale, regolare la luminosità dello schermo, posizionare lo schermo ad angolo retto rispetto alle finestre o a sorgenti di luce riflessa in modo che gli occhi non ricevano luce diretta, collocare lo schermo ad una distanza dagli occhi compresa fra i 50 e gli 80 cm e ricordarsi che il monitor deve essere un po’ più basso dell’altezza degli occhi, posizionare i documenti alla stessa distanza dal video.
I disturbi osteomuscolari invece sono legati all’errata abitudine di mantenere per lungo tempo posizioni fisse e sovente non ergonomicamente corrette.
Infine si dovrà ricordare ancora che per una corretta ed idonea postazione di lavoro occorre che:
Il lavoratore che utilizza in modo sistematico e abituale per 20 ore settimanali dedotte le pause un’attrezzatura munita di videoterminale, è considerato esposto ed è sottoposto ad una visita medica per evidenziare eventuali malformazioni strutturali e ad un esame degli occhi e della vista effettuati dal Medico Competente (art. 176 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.).
Qualora l’esito della visita medica ne evidenzi la necessità, il lavoratore è sottoposto ad esami specialistici.
Scarica il documento “Il lavoro al videoterminale: informazioni dettagliate per specialisti e non”
Scarica il documento “Lavoro al videoterminale: 10 consigli utili per tutelare la salute e il benessere dei lavoratori”
Scarica il documento “L’uso del videoterminale: informazioni utili per il vostro benessere”
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In ambiente ospedaliero sono frequentemente segnalate situazioni di stress psichico tra il personale. Le cause possono essere legate sostanzialmente a fattori di tipo individuale, organizzativo, sociale o culturale.
Il coinvolgimento emotivo richiesto talvolta dal paziente, l’impatto quotidiano con la sofferenza, il dolore o la morte, possono generare nel personale sanitario ed in particolare in quell’infermieristico sensazioni di fallimento e distacco personale.
Le condizioni dell’ambiente di lavoro che prevedono molte volte un sovraccarico di lavoro, mancanza di pianificazione, svalutazione della professionalità, burocratizzazione eccessiva, sono spesso motivo di perdita d’interesse alla professione e alla responsabilità nel proprio lavoro.
La prevenzione dovrebbe prevedere una riduzione dei sovraccarichi di lavoro, il coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione, la formazione costante del personale ed il suo sostegno psicologico finalizzato a sostenere angosce e ansie legate alla sofferenza, alle malattie e alla morte.
Il D.Lgs. 532/99 recante disposizioni in materia di lavoro notturno definisce:
L’alterazione delle condizioni di salute dei turnisti dipende oltre che dall’alterazione dei ritmi biologici (sfera biologica) anche dalle interferenze sulle abitudini alimentari e di sonno dei soggetti esposti (sfera lavorativa) e dalle eventuali interferenze sulla vita di relazione (sfera relazionale). I dati disponibili riguardano in special modo altre aree lavorative, ma possono essere facilmente estrapolati per il personale ospedaliero. Il sonno è la prima attività a subire modifiche dal lavoro a turni.
Una riduzione delle ore di sonno si determina già nel corso del turno mattutino in relazione all’alzata precoce.
Nel turno notturno la riduzione del sonno è più vistosa in presenza di situazioni familiari ed abitative sfavorevoli, che limitano la possibilità di recupero successivo.
Non solo la quantità di sonno ma anche la qualità si altera con il lavoro a turno a causa della perturbazione delle fasi del sonno che riducono i periodi di sonno profondo e di sonno REM, ciò determina un minor effetto ristoratore del sonno che si accentua quando si dorme di giorno.
Con l’età si è visto un’accentuazione delle alterazioni quantitative e qualitative del sonno. Si pensa che i lavoratori turnisti abbiano un più precoce invecchiamento funzionale rispetto a quelli non in turno anche a causa di tale fattore.
I problemi alimentari sono legati alla anomala sequenza dei pasti ed all’interferenza sui pasti operata dal sonno: i turnisti – anche se si alimentano normalmente – per effetto del turno spostano la sincronizzazione socio-ambientale dei pasti:
Nei turnisti, pertanto, si registra un incremento delle malattie dell’apparato digerente (gastroduodenite, ulcera peptica, colonpatie funzionali).
Un altro problema rilevante nel lavoro a turni è l’incidenza dei disturbi psichici (disturbi comportamentali, sindromi ansiose e depressive) e neurologici (fatica cronica, insonnia).
I lavoratori a turni, pertanto, spesso assumono psicofarmaci e ricorrono al ricovero in luoghi di cura con maggior frequenza della restante popolazione attiva.
Infine recenti indagini effettuate nei paesi scandinavi hanno rilevato un aumento del rischio per le malattie cardiovascolari tra i turnisti.
Da una sommaria consultazione di tale letteratura risulta che i turnisti sono esposti a problemi cardiaci (angina, infarto) da due a tre volte più spesso dei lavoratori con turni solo di mattina. Tale rischio è indipendente dall’età e dal consumo di tabacco.
Nei turnisti, inoltre, si riscontra un aumento del colesterolo e dei trigliceridi a prescindere dall’uso o dall’abuso di tabacco e dall’anzianità anagrafica; si è riscontrato infine un maggiore incremento del LDL ed una riduzione del HDL durante il lavoro notturno. Le alterazioni dell’assetto lipidico appaiono indipendenti dall’obesità e dalle abitudini alimentari.
Le donne, infine, denunciano irregolarità mestruali, un minor numero di gravidanze, ed un incremento d’incidenza di minacce d’aborto e di aborti spontanei rispetto alle donne che lavorano soltanto la mattina.
Tali situazioni sono anche confermate da un recente studio dell’Eurispes dal titolo “Il lavoro notturno: scelta o necessità”, nel quale si afferma che può interferire nell’organizzazione delle attività sociali, creando delle difficoltà a instaurare e a mantenere le relazioni, fino a rischiare di diventare un elemento di discriminazione sociale.
Dal punto di vista legislativo, fin dall’inizio del 900 ci si è occupati della disciplina del lavoro notturno. Gli ultimi in ordine ti tempo sono però la Legge 25/1999, il D.Lgs 532 del 26 novembre 1999 (che regola il lavoro notturno negli enti pubblici) e il D.Lgs 66 dell’8/04/2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce concernenti taluni aspetti della organizzazione dell’orario di lavoro”).
Tra le altre disposizioni, queste norme vietano il lavoro notturno alle donne in gravidanza e fino al compimento del primo anno di età del bambino e prevedono particolari disposizioni per la lavoratrice madre (o il padre) di un figlio di età inferiore a 3 anni, per i genitori affidatari di un figlio di età inferiore a 12 anni, per coloro che hanno a carico un soggetto disabile (nello specifico si veda la valutazione per la salute delle lavoratrici madri, puerpere o in allattamento fino a sette mesi dopo il parto ai sensi del D.Lgs. 151/2001).
Da quanto sopra visto occorre valutare sotto una nuova ottica le implicazioni che il lavoro a turni determina sulla vita e sulla salute dei lavoratori. In particolare tali lavoratori, se non già soggetti a controllo periodico obbligatorio da parte di un Medico Competente, dovrebbero esser periodicamente sottoposti a visita sanitaria allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile i segni ed i sintomi di alterazione.
Fin ora il personale sanitario è stato trascurato da indagini epidemiologiche sull’incidenza di tale rischio sulla salute.
Un’altra esigenza da curare è questa: avviare un’indagine che approfondisca le implicazioni di tale organizzazione del lavoro sui diversi aspetti della vita relazionale e lavorativa dei turnisti e sulle ricadute che si determinano sulla loro salute. La valutazione deve avvenire attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi.
Il settore sanitario e socio assistenziale ha come caratteristica quella di incorporare un gran numero di personale femminile.
Anche nell’A.S.L. CN2 su un numero complessivo di circa 1.700 dipendenti il 70% sono donne mentre solo il 30% sono uomini.
Gestanti, puerpere e madri in periodo di allattamento ai sensi del D.Lgs 645/96 integrato dal D.Lgs. 151/2001, hanno un’ulteriore normativa di protezione sui luoghi di lavoro.
Le altre norme più importanti, attualmente ancora in vigore, sono la Legge n.1204/1971 “Tutela delle lavoratrici madri” e il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”.
La valutazione dei rischi per la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a 7 mesi dopo il parto:
In ogni caso si deve precisare che la gravidanza, se priva di complicazioni, è del tutto compatibile con la normale attività lavorativa. Infatti le Linee Direttrici dell’U.E. sottolineano che la gravidanza non è una malattia ma un aspetto della vita quotidiana.
Tuttavia se l’attività lavorativa o l’ambiente in cui si svolge presentano rischi specifici per la salute della lavoratrice o del nascituro, è fatto obbligo al datore di lavoro, oltre a valutare i rischi e ad individuare le misure di prevenzione e protezione da adottare, evitare l’esposizione al rischio, modificando temporaneamente le condizioni e/o l’orario di lavoro o procedere allo spostamento temporaneo ad altre mansioni.
Qualora la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni, l’Ispettorato del Lavoro può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo. In ospedale i rischi sono legati a tutte quelle professioni che quotidianamente sono esposte a prodotti chimici, radiazioni ed altri fattori fisici, organizzativi, biologici, ecc…
Tutto il personale è sottoposto a programmi di formazione e informazione periodica ed ogni tipologia di rischio prevede la distribuzione di adeguati DPI (dispositivi di protezione individuali).
Elenco dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri in ambito ospedaliero e assistenziale.
Lavori faticosi:
Lavori pericolosi
Lavori stressanti
Lavori in presenza di agenti fisici
Lavori in presenza di agenti biologici
Lavori in presenza di agenti chimici
Classificazione delle manovre o procedure invasive comportanti rischio biologico (da S. Cantoni, 1993).
Alto rischio:
Medio rischio:
Basso rischio:
Sono molteplici le ragioni per le quali si può presentare ricorso ad imprese esterne:
L’intervento di queste imprese presenta delle caratteristiche particolari, in materia di rischi professionali, legati alla:
S’impongono quindi delle misure di prevenzione per ridurre questi rischi specifichi, anche con una concertazione preventiva allo svolgimento dei lavori, ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
I datori di lavoro delle ditte devono pertanto cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
È necessario:
Oltre al personale dipendente nell’A.S.L. CN2 è presente anche altro personale non dipendente che a vario titolo svolge un’attività in modo più o meno continuativo (es. volontari, borsisti, lavoratori somministrati, liberi professionisti, studenti, tirocinanti, ecc.).
Il D.Lgs. 81/2008 all’art. 2, comma 1 definisce come lavoratore la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il volontario che effettua il servizio civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni.
Pertanto, sulla base delle indicazioni sopra esposte, tale personale, ai fini della sicurezza sui luoghi di lavoro deve fare riferimento al proprio Tutor o al Responsabile del Servizio e attenersi ai regolamenti del servizio e aziendali.