La Medicina di Genere (MdG) o, più precisamente, la medicina genere-specifica, è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Una crescente mole di dati epidemiologici, clinici e sperimentali indica l’esistenza di differenze rilevanti nell’insorgenza, nella progressione e nelle manifestazioni cliniche delle malattie comuni a uomini e donne, nella risposta e negli eventi avversi associati ai trattamenti terapeutici, nonché negli stili di vita e nella risposta ai nutrienti. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere.
La Medicina di Genere si propone, attraverso la ricerca, di identificare e studiare le differenze tra uomo e donna, non solo nella frequenza e nel modo con cui si manifestano le malattie, ma anche nella risposta alle terapie. La finalità di tale studio è quella di impostare percorsi preventivi, diagnostici, terapeutici ed assistenziali specifici per ciascuno dei due sessi. La dimensione di genere va intesa non solo come differenze biologiche e sessuali, ma anche come diversità sociale, culturale, comportamentale attraverso cui è possibile distinguere ogni individuo.
Già nel 1998 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva preso atto delle differenze tra i due sessi, inserendo la medicina di genere nell’Equity Act a testimonianza che il principio di equità doveva essere applicato all’accesso e all’appropriatezza delle cure, considerando l’individuo nella sua specificità e come appartenente a un genere con caratteristiche definite. In epoca più recente (2015), l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha approvato i 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, all’interno dei quali il V° si propone di “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare donne e ragazze”.
In Italia l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel 2011 ha attivato il “Reparto Malattie degenerative, invecchiamento e medicina di genere” all’interno del Dipartimento del Farmaco e nel 2017 ha istituito il Centro di riferimento per la Medicina di Genere, primo in Europa in questo ambito. Il Centro di riferimento per la Medicina di Genere, con il Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e il Gruppo italiano salute e genere (GISeG), ha creato la Rete italiana per la Medicina di Genere, che dal 2015 trova la sua espressione scientifica nell’Italian Journal of Gender Specific Medicine.
Il 13 giugno 2019 il Ministero della Salute ha approvato formalmente il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale” firmando il decreto attuativo relativo alla Legge 3/2018 “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del ministero della Salute”, il cui articolo 3 “Applicazione e diffusione della Medicina di Genere nel Servizio Sanitario Nazionale” richiedeva la predisposizione di «un Piano volto alla diffusione della medicina di genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale».
Come previsto dalla legge 3/2018 al comma 5 prevede, è stato istituito, presso l’ISS, un Osservatorio dedicato alla medicina di genere (22 settembre 2020). Obiettivo principale dell’Osservatorio è quello di assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio delle azioni previste dal Piano, aggiornando nel tempo gli obiettivi in base ai risultati raggiunti per fornire al ministero della Salute i dati relativi alle azioni attuate sul territorio nazionale, da presentare annualmente alle Camere
►La Medicina di Genere non rappresenta una branca a sé stante dell’area medica ma una dimensione interdisciplinare che, come tale, deve pervadere tutte le branche del sapere medico al fine di studiare l’influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, la fisiopatologia e la patologia umana.
È stato ampiamente dimostrato che a livello cellulare numerosi determinanti (genetici, epigenetici, ormonali e ambientali) sono alla base delle differenze tra cellule maschili e femminili e di conseguenza, a livello mondiale, sono state date indicazioni per affrontare in modo corretto tutte le fasi dalla ricerca sperimentale. Infatti, per molto tempo negli studi clinici i soggetti arruolati sono stati prevalentemente di sesso maschile, negli studi preclinici in vitro (su linee cellulari o cellule isolate) non è stato riportato il sesso di origine dell’organismo da cui derivano le cellule e per quelli in vivo (su animali da esperimento) sono stati usati animali di sesso maschile.
È noto che le donne si ammalano di più, consumano più farmaci e sono più soggette a reazioni avverse, oltre che ad essere socialmente “svantaggiate” rispetto agli uomini. Inoltre, nei Paesi occidentali, nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini, l’aspettativa di “vita sana” è equivalente tra i due sessi, fenomeno noto come “paradosso di genere”. Ancor più evidenti durante un’epidemia o una pandemia, sono le differenze di sesso, ovvero quelle differenze dovute alle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce (per esempio i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali). Per poter capire davvero quale sia il peso del sesso e del genere in questa patologia abbiamo però bisogno di dati aggiornati e disaggregati.