”Mucca Pazza” fa ancora paura?

L’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE), nota come “Morbo della mucca pazza”: facciamo il punto sulla situazione attuale della malattia ripercorrendone la storia ed evidenziando quanto fatto sinora dalle Autorità Sanitarie attraverso i Piani di Sorveglianza attuati dai Servizi Veterinari ASL.

 La BSE è una patologia inserita nel gruppo delle Encefalopatie Trasmissibili che annovera malattie da agenti non convenzionali (“prioni”- PrPSc) come la “Scrapie” degli ovini, la “FSE” dei gatti e la “Malattia da deperimento cronico del cervo” (CWD).

Trattasi di malattie di tipo neurodegenerativo a decorso progressivo e fatale, definite “trasmissibili” in quanto possono essere trasmesse ai mammiferi attraverso l’inoculazione di tessuto infetto o per via alimentare. Sembra accertata la propensione dell’agente causale della BSE al “salto di specie”, dall’ovino al bovino e da questo ai ruminanti selvatici ed ai felidi.

Ciò che ha destato forte preoccupazione è stata la scoperta della correlazione tra la BSE e la “nuova variante della malattia Creutzfeld-Jakob” (nvCJD), encefalopatia umana ad esito fatale derivante dal contagio per via alimentare con “materiale specifico a rischio” (tessuto nervoso ed altri tessuti bovini infettati dal prione PrPSc).

Alcuni casi della malattia umana furono diagnosticati nel Regno Unito subito dopo l’esplosione della crisi BSE (anni 1994-1995).Questo determinò nell’opinione pubblica – non solo dei Paesi anglosassoni ma del mondo intero – il timore generalizzato di contrarre la malattia. Da qui il cambiamento nelle abitudini alimentari umane con forte riduzione del consumo di carne bovina che determinò la crisi del settore, spinta a dismisura dagli effetti negativi generati da notizie spesso allarmistiche ed articoli dal contenuto poco scientifico divulgate dai mezzi d’informazione.

Facciamo allora il punto sulla malattia bovina per conoscere meglio le sue origini e analizziamo quanto è stato fatto dalle Autorità Sanitarie per arginare il problema e quali sono state le attività di Sorveglianza attuate dai Servizi Veterinari delle ASL nel corso degli anni (dalla crisi BSE ad oggi).

 

BSE sta per “encefalopatia spongiforme bovina” dove “spongiforme” fa riferimento all’aspetto simil-spugnoso che la materia grigia neuronale assume ad un esame microscopico,a causa  delle lesioni vacuolari che il prione determina a livello encefalico.

Ma cos’è esattamente un prione?

In passato sono state avanzate diverse ipotesi sull’agente causale della BSE. Alcuni pensavano si trattasse di un virus, altri ancora un virino, finchè nel 1982 Prusiner teorizzò la causa che ad oggi risulta la più accreditata, ovvero quella del prione, una proteina infettante originata da una proteina normale (Prpc) localizzata sui neuroni.

La prima diagnosi di “mucca pazza” risale al 1986 nel Regno Unito, Paese in cui il problema si è manifestato con un numero elevato di casi raggiungendo l’apice negli anni 1992-1993  con quasi 1000 nuovi casi confermati ogni settimana. Oltre al Regno Unito e all’Irlanda, la BSE ha fatto la sua comparsa anche in altri Stati Europei (Portogallo, Francia, Spagna, Germania, Italia) e negli Stati Uniti, Giappone, Canada ed Israele.

Tuttavia il 97% di tutti i casi riportati ad oggi nel mondo ha interessato il Regno Unito ed è qui che si sono focalizzate le ricerche scientifiche al fine di chiarire l’origine della malattia, che inizialmente si pensava colpisse esclusivamente i bovini.

Gli studi epidemiologici confermarono che l’incidenza della malattia era sempre collegata all’utilizzo delle “farine animali” (scarti ossei e carnei della macellazione ad alto contenuto proteico) nei mangimi usati per l’alimentazione dei bovini d’allevamento e dei felidi e ruminanti selvatici dei giardini zoologici inglesi. Nel 1993  gli studi di Wilesmith confermarono ulteriormente l’ipotesi “farine animali” mostrando come negli allevamenti bovini delle isole inglesi Guernsey e Jersey fosse marcata la differenza nell’incidenza della BSE.

Tali allevamenti sono caratterizzati da una sorta d’isolamento perché in essi vige il divieto di importazione di animali;di fatto però dipendono dalla madrepatria nell’acquisto dei mangimi concentrati. L’isola con il minor numero di casi della malattia era quella che aveva,come maggiore rifornitore di mangimi,la ditta che usava in quantità ridotte le farine animali.

Come progredisce la malattia nell’animale che ha assunto mangime infetto?

Studi scientifici hanno dimostrato che i prioni assunti per via alimentare inizialmente replicano nelle placche del Peyer dell’ileo ed in seguito,attraverso i nervi periferici,giungono al Sistema Nervoso Centrale, a livello del quale si trovano in elevata concentrazione.

Il termine “Mucca Pazza” attribuito al morbo BSE deriva proprio dalla sintomatologia nervosa della malattia. Il bovino sembra come impazzito a causa dei suoi movimenti scoordinati e per l’irrequietezza e la ritrosia che mostra  durante la manipolazione da parte dell’uomo.

Il divieto delle farine animali da impiegare nei mangimi, divenuto esecutivo nel Regno Unito nel 1988, ha significativamente ridotto il numero dei casi della malattia. I casi di BSE successivi al divieto (BAB, “born after ban”) furono spiegati con l’uso illegale di farine animali e con la contaminazione crociata verificatasi nei mangimifici produttori di alimenti concentrati destinati a specie diverse.

In Italia i primi due casi di BSE furono confermati nel 1994 e gli ultimi due nel 2009, ciò a dimostrazione di come il nostro Paese abbia saputo arginare il problema da subito  grazie ai Piani di Sorveglianza Attiva e Passiva messi in atto dal Ministero della Salute sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria,successivamente perfezionati ed adeguati alle conoscenze in materia ed agli sviluppi epidemiologici della malattia. A livello di Sanità Pubblica la malattia è considerata prioritaria per la risonanza che ha avuto e continua ad avere a livello mondiale.

Nel 1990 il Ministero della Salute finanziò il primo piano di monitoraggio della BSE basato sull’esame dei tronchi encefalici (sito ad alta concentrazione del prione PrPsc).

Con il Decreto Ministeriale 03.08.1991 fu istituito il Centro di Referenza per le Encefalopatie Animali e Comparate presso l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Con l’Ordinanza Ministeriale 10.05.1991 la BSE e la Scrapie furono inserite tra le malattie soggette a denuncia obbligatoria. Nel 1994 in Italia furono bandite dall’alimentazione dei ruminanti le farine animali. Con il Reg. CE 999 del 2001 furono adottate dai Paesi della Comunità Europea misure comuni nel contenimento e gestione del problema.

Tale Regolamento Comunitario,sottoposto a numerosi aggiornamenti, prevede controlli su tutte le fasi di produzione partendo dall’allevamento fino alla macellazione e commercializzazione dei prodotti di origine animale.  Le misure di sorveglianza prevedono tra l’altro il controllo sui mangimi, l’eradicazione degli allevamenti colpiti dalla malattia, l’obbligo di eliminazione del “materiale specifico a rischio”nei macelli (testa, midollo spinale, colonna vertebrale, tonsille, intestini), la classificazione dei Paesi in funzione del rischio BSE (rischio trascurabile, rischio controllato, rischio indeterminato)

Ad oggi l’Italia( = i bovini nati e allevati in Italia) è stata classificata”Paese a rischio trascurabile”

Le misure di controllo(sorveglianza attiva e passiva) continuano ad essere applicate. Quella passiva (clinica) include la notifica da parte di tutti gli operatori del settore dei capi bovini sospetti di malattia, che verranno poi sottoposti ad abbattimento ed alle prove diagnostiche per la conferma.

La sorveglianza attiva (mirata) si basa sull’esecuzione sistematica di test diagnostici,  definiti “rapidi” perché in grado di dare rapida risposta (entro le 24-48 h), su tronchi encefalici di bovini di età superiore o uguale ai 48 mesi (animali morti in azienda o macellati d’urgenza o sospetti). Per numerosi anni i test furono eseguiti anche su animali regolarmente macellati, inizialmente di età superiore ai 30 mesi, successivamente il limite d’età fu esteso ai 48 mesi, poi ancora a 72 mesi.

Non esistono ad oggi test diagnostici su animali vivi. Questa malattia è diagnosticata  esclusivamente attraverso l’isolamento dei prioni nel SNC. Campioni positivi ai test rapidi sono confermati con saggi più specifici di immunoistochimica o immunoblotting.

In seguito al rilevamento di una positività la carcassa dalla quale proviene il campione viene eliminata e distrutta, evitandone così l’immissione nella catena alimentare umana o animale.

ASL CN2