Questione di etichetta – Cosa dobbiamo sapere sulla etichettatura degli alimenti

Nell’era dell’iperinformazione globalizzata poteva mancare la”radiografia” refertata di ciò che mangiamo, resa accattivante da immagini di una tradizione bucolica di cui abbiamo solo più un vago ricordo? Le etichette sugli alimenti ci parlano. Siamo disposti ad ascoltarle?

Ci sono leggi e regolamenti, note e circolari ministeriali – per gli addetti ai lavori –  la cui mission è chiarire quali e quante informazioni fornire ai consumatori italiani ed europei, posto che il Mercato Unico deve assicurarne un livello di conoscenza uniforme in tutta l’Unione Europea. Nessuna discriminazione deve sussistere tra un abitante della Lituania e uno spagnolo in rapporto all’identificazione degli ingredienti di biscotti al cioccolato  piuttosto che di una scatoletta di tonno. Unica differenza consentita ( e obbligatoria) la Lingua: se una merce circola in Italia, le indicazioni devono essere scritte in Italiano. Parrebbe ovvio, ma non è sempre così.

Dev’essere poi sempre chiara e inequivocabile la denominazione dell’alimento. I nomi di fantasia non sono ammessi, mentre quelli della tradizione sì, se manca la denominazione legale. Semaforo verde dunque per diciture inconfondibili: pizza, agnolotti, torrone, ecc. A seguire, in etichetta, l’elenco degli ingredienti utilizzati in ordine decrescente di peso. Nella lista devono comparire gli aromi e gli additivi, questi ultimi classificati secondo la funzione che svolgono. Conservanti, stabilizzanti, antiossidanti, emulsionanti, gelificanti ecc, saranno indicati con il loro nome ( acido ascorbico, nitrato di potassio, glutammato monosodico ecc) o con una sigla composta dalla lettera E seguita da un numero.

Nell’elenco degli ingredienti può succedere di notarne alcuni evidenziati o scritti con un carattere o colore diverso. Si tratta di una precisa segnalazione della presenza di sostanze allergizzanti o comunque in grado di produrre intolleranze. Questo è di estremo interesse per i soggetti ”sensibili”, per i quali cioè l’assunzione accidentale di un allergene può costituire un vero rischio per la salute. A titolo esemplificativo ricordiamo che le più note allergie riguardano: pesce, crostacei, molluschi, latte e derivati, cereali con glutine, soia, frutta secca, uova. Anche nella commercializzazione dei prodotti sfusi – e quindi privi di una vera e propria etichetta – il rivenditore deve segnalare la presenza di tali sostanze utilizzando una cartellonistica specifica o sistemi informativi appropriati. Analogamente, nei ristoranti e in tutti gli esercizi di somministrazione di sostanze alimentari, l’eventuale presenza di allergeni  nei cibi somministrati va comunicata preventivamente ai clienti.

Altro elemento di rilievo sanitario in etichetta è la durabilità del prodotto, cioè la durata della sua ”vita”. A parte pochissime eccezioni come vini e liquori, zucchero e sale ad es. che non prevedono un termine di durabilità, due sono le opzioni: se il prodotto non è particolarmente soggetto a deperimento l’etichetta riporta il termine minimo di conservazione (TMC): ”da consumarsi preferibilmente entro”:….. ( giorno/mese/anno o mese/anno). E’questo il caso di: paste alimentari secche, latte a lunga conservazione, conserve ecc.. Invece, nel caso di prodotti molto deperibili e che potrebbero costituire un rischio per la salute dopo un breve tempo si parla di “data di scadenza”.  Ad esempio il latte e i formaggi freschi, il pesce, la carne, i  prodotti di gastronomia freschi e tutti i cibi che necessitano di conservazione con mezzi refrigeranti. Conoscere la differenza tra TMC e data di scadenza è importante; nel primo caso l’alimento, se ben conservato, può essere utilizzato per un certo periodo anche oltre il termine indicato, evitando così di sprecarlo (allegato 1). Nel secondo caso invece (data di scadenza superata), l’alimento non dev’essere consumato.

Con l’emergere di nuove problematiche relative agli apporti nutrizionali nella dieta, sulle etichette degli alimenti prodotti industrialmente sono indicate in apposita tabella: calorie, proteine, grassi, zuccheri e sale; facoltativamente fibre, polioli,vitamine ecc. I produttori possono aggiungere ulteriori indicazioni nutrizionali e salutistiche per consentire ai consumatori di compiere scelte in linea con le esigenze personali. Troveremo così, ad esempio: “a ridotto contenuto calorico”, ”senza grassi saturi”, ”senza zuccheri aggiunti”, ”ad alto contenuto di proteine” e così via. Tali indicazioni sono regolamentate da precise disposizioni di legge in modo da evitarne utilizzi impropri.

Per rafforzare la fiducia dei consumatori ed evitare le frodi, in numero sempre crescente di alimenti diventa obbligatoria l’indicazione dell’origine o del luogo di provenienza. Pensiamo alle carni bovine, suine, avicole, ovicaprine, il pesce, il latte e derivati, il riso, frutta e verdura, il miele.

L’etichettatura degli alimenti prevede dunque una serie di indicazioni e adempimenti (anche onerosi) a carico dei produttori, e comunque finalizzati a fornire garanzie ai consumatori. La breve sintesi sopra articolata ne rappresenta, in effetti, solo un sunto sommariamente rappresentativo. Per chi vuole approfondire l’argomento vedasi anche la pubblicazione del Ministero della Salute, recuperabile attraverso il link riportato in calce (2). Compito del consumatore è valorizzare le informazioni trasmesse sulle etichette attraverso una lettura attenta dei loro contenuti. La scelta consapevole di un alimento è un diritto, ed anche un dovere se si pensa che ci sono validissime ragioni di evitarne utilizzi impropri e sprechi.

 

ASL CN2